In ricordo di Giovanni Battista Tuveri

GIAMBATTISTA TUVERI*

Il federalista illuminato, democratico e progressista  (1815-1887)

Nato il 2 Agosto 1815 a Forru. “Perdei mio padre a cinque mesi e mia madre a 17 anni” scrive lui stesso nella sua Autobiografia, pubblicata il 29 Dicembre del 1878 sul giornale <L’avvenire di Sardegna>”. Rimasto orfano del padre Salvatore (avvocato) e della madre Maria Angela Licheri, visse col nonno materno, il magistrato Domenico Vincenzo Licheri, -di cui parla il Manno nella Storia moderna della Sardegna- nella cui casa convenivano intellettuali di varia tendenza, e in cui il giovane Tuveri poté acquisire una certa formazione culturale.

Nel 1827 entra nel seminario di Cagliari. Studia diritto civile canonico, “quantunque avessi ripugnanza per il mestiere di avvocato” ,ci confida sempre nell’Autobiografia. Si ritira dall’Università, per l’insofferenza verso il clima rigido e chiuso, dopo aver conseguito il titolo di baccelliere.

Ben presto schierato su posizioni repubblicane, nella primavera del 1848 Tuveri condusse un’aspra polemica nei confronti di Giovanni Siotto Pintor, giornalista e deputato, partigiano della monarchia sabauda e accusato dagli ambienti repubblicani isolani di poco nobile spirito arrivistico. Essa riguardò in particolare l’origine del potere monarchico e i limiti dell’autorità, che riassunse nel breve opuscolo “Saggio sulle opinioni del signor deputato sardo Giovanni Siotto Pintor dato da G. B. Tuveri” (Torino, Tipografia G. Casson, 1848).

 I due in seguito si riconciliarono, ma quella polemica rappresenta un’importante testimonianza della lotta politica in Sardegna agli albori della libertà costituzionale.

Scrisse su vari giornali sardi e italiani, ed espresse il suo pensiero politico, sociale e morale, particolarmente tagliente e polemico specie nei confronti della corruzione degli ambienti politici dominanti e della “turba” servile, sostenitrice della monarchia sabauda.

Esponente del cattolicesimofederalista, fu eletto deputato dalla I° alla IV° legislatura al Parlamento Subalpino, ove polemizza duramente con Vincenzo Gioberti, che dalle colonne de il Il Saggiatore aveva attaccato faziosamente gli esponenti repubblicani. Da ricordare che Tuveri non era certamente un mazziniano, anche se era in affettuosi rapporti con lui e i suoi scritti venivano ospitati costantemente nei giornali mazziniani “Roma del popolo” e “Libertà e Associazione”. Aveva infatti in comune con il pensatore genovese il pensiero religioso come fondamento del pensiero politico, ma lo allontanava il suo programma nettamente federalistico che mal si accordava con l’unitarismo mazziniano.

La sua notorietà ebbe inizio ai primi del 1848, in seguito agli avvenimenti succedutisi alla fusione con il Piemonte, con l’abolizione degli antichi istituti autonomi del Regnum Sardiniae e con la concessione dello Statuto Albertino: il Tuveri fu tra coloro che considerarono quelle decisioni –e prima ancora la legge “delle chiudende” e l’abolizione dei diritti feudali- gravi errori che avrebbero aggravato le condizioni economiche e sociali della Sardegna, provocando la rovina del mondo agro-pastorale. Di qui la critica implacabile contro la politica accentratrice e colonialista del Piemonte.

Nel 1850 fondò a Cagliari la Gazzetta Popolare con cui continuò anche a Cagliari la polemica antigiobertiana attaccando l’“Indicatore sardo” dei fratelli Martini, Michele e Antonio, proprietari e collaboratori di quel giornale, monarchico e giobertiano. Nel Febbraio del 1949 avevano scritto violenti articoli contro Mazzini e i repubblicani, Tuveri risponderà polemicamente con un breve panflet: “Specifici di G. B. Tuveri contro il codinismo a 24 centesimi”.

Sindaco di Forru (18701887) ne propose il cambio del nome in Collinas; consigliere provinciale a Cagliari lottò contro il centralismo e promosse maggiore autonomia, soprattutto fiscale, per i piccoli comuni. A livello nazionale, amico di Cattaneo e di Mazzini, sollevò nel 1867la Questione sarda”: a Tuveri si deve la paternità di questa espressione con cui si vuole reclamare l’attenzione della politica statale sulle difficoltà dell’Isola, promuovendo il riscatto della Sardegna e del popolo sardo contro uno stato centralista e oppressivo.

Nel 1871 si trasferì a Cagliari e assunse la direzione del “Corriere di Sardegna”, in cui avversò la politica tributaria applicata nell’Isola dal governo centrale. Si occupò di vari problemi sardi, diffuse le idee federaliste repubblicane, difese la libertà d’insegnamento, propose lo svecchiamento dei programmi scolastici e l’obbligo dell’insegnamento elementare, considerando l’analfabetismo una delle maggiori piaghe della Sardegna.

Muore a Collinas l’8 Dicembre del 1887.

 

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Presentazione del testo [tratto dal cap. II°, Del diritto dell’uomo alla distruzione dei cattivi governi. Trattato teologico-filosofico”, Tipografia nazionale, Cagliari 1851, pagg.46-47-48]

 

Del diritto dell’uomo alla distruzione dei cattivi governi. Trattato teologico-filosofico, è considerata la sua opera più importante, quella di maggior respiro intellettuale e dottrinale, anche se molto carica di una pesante erudizione filosofica e soprattutto teologica per le numerose citazioni tratte dagli scritti dei primi Padri della Chiesa. In quest’opera Tuveri espone e definisce la sua concezione dello stato federalista, democratico e progressista, dove il popolo è sovrano e dove la religione, tornata al cristianesimo evangelico, si concilia con la libertà. Di un doppio federalismo: interno ovvero nazionale, con un assetto repubblicano-federalista delle varie regioni italiane, -Sardegna compresa- ed esterno, ovvero sovranazionale con una sorta di “Stati Uniti d’Europa”.

Ma Tuveri si spinge anche oltre: tende a valorizzare il comune, l’ente locale autonomo per eccellenza, che avrebbe dovuto godere di vita propria e che invece era pesantemente vessato da tributi e balzelli dello Stato unitario. E’ inoltre critico nei confronti delle Province –così come in seguito lo sarà Emilio Lussu- considerate vecchi e artificiali cascami dello stato napoleonico, centralista e autoritario.

 In modo particolare nel secondo capitolo del Trattato, affrontando i problemi della libertà e dell’indipendenza, sostiene la necessità di una organizzazione federalistica dell’Italia, la sola che avrebbe conciliato la diversità delle varie regioni italiane con l’unità politica dello Stato. Di qui la simpatia di Tuveri per stati federali come la Confederazione svizzera o gli Stati Uniti d’America e la vagheggiata Federazione europea.

 

CAP0 II.

DIGRESSIONE SUL FINE DELLA SOCIETA’ CIVILE
CONSIDERATO RELATIVAMENTE ALLA QUESTIONE
DELL’ INDIPENDENZA.

§27 “Può parere a taluno, che tra i mezzi autorizzati dal conseguimento del fine da me proposto, mal si possano comprender quegli, che richiede la difesa esterna della so­cietà: e che quindi io badi poco all’indipendenza dei popoli. Su di che dirò, che hassi ben a distinguere tra indipendenza ed indipendenza, e tra dipendenza e dipendenza: perché par­mi, che andando bonariamente dietro a certe fanfaluche, si corra pericolo di preferire la condizione, a mo’ d’esempio, del suddito russo a quella del cittadino ticinese: mentre è un fatto, che indipendentissimo è l’Impero di Russia, e che all’incontro il Cantone del Ticino dipende da un’ assemblea composta quasi interamente di Tedeschi e di Francesi1.

§28 V’ ha adunque una dipendenza sociale, libera, vi­cendevole: e perché è tale quella che lega la Svizzera Italiana cogli altri Cantoni della Confederazione Elvetica, i Ticinesi; lungi dall’aborrire 1’aver comune il governo con popoli di diversa lingua, e dall’aspirare a rendersene indipendenti, fecero quant’era in loro, per diminuire la propria indipen­denza, col secondare efficacemente la rivoluzione, che mirava ad estendere i poteri delle autorità federali. E per mio avviso, fecero saviamente: avvegnaché un popolo conscio dei suoi dritti, riguardando il loro libero esercizio pel fine supremo della Società, non deve sacrificare a considerazioni etnogra­fiche, ecc., quella dipendenza che. gliela guarantisce; salvo che vegga in tal sagrifizio un mezzo probabilissimo di con­seguire una libertà, se non più  perfetta, meglio guarentita, od accompagnata da altri vantaggi. Che avverrebbe delle piccole Repubbliche di Ginevra2 e di Neuchatel3, se illuse dalla vanità di far parte della gran nazione con cui han co­mune il linguaggio, s’ immedesimassero con esso lei? Quel che avviene dei ruscelli da che si uniscono a qualche grosso fiume.

§29 V’ha una dipendenza unilaterale, servile: qual si è quella dei così detti possessi, che gli Europei hanno nelle Indie, ed altrove: per cui un popolo vien tenuto come una fattoria, un oggetto di traffico d’un altro popolo, o piut­tosto dei suoi dominatori. Ed a comportare in pace cotal dipendenza vi vuol ben altro, che predicare al popolo traffi­cato o la comunanza dell’ idioma fra esso e il dominante, o i vantaggi dell’unione considerata in astratto, o il lustro e la forza che da essa deriva alla nazione. Finché gli oppressi conserveranno un qualche sentimento dei loro dritti, l’unico legame che può vincolarli agli oppressori è la forza. Tutta­via si danno dei casi nei quali conviene tollerare anche tal sorta di dipendenza, come quando vi è fondatamente a­ temere, che i nostri tentativi ad altro non possano riuscire che ad aggravare il nostro giogo; sia rendendo più ombrosi e più duri i nostri oppressori, sia soggiacendo ad una domina­zione più mite, ma più potente, e quindi più duratura. In questi e simili casi, dobbiamo restringere i nostri pacifici sforzi ad essere in qualche modo pareggiati col popolo favo­rito: al che gioverà non poco il richiamarci a lui stesso, il solleticarne gli interessi, l’educare i nostri conservi, il risve­gliare in loro la coscienza dei proprj dritti, il comprare inol­tre, se occorre, le persone che possono influire nelle nostre sorti; onde da una parte dando al popolo oppresso un’altitu­dine imponente, dall’altra convertendo, indebolendo i nostri dominatori, possiamo se non renderci indipendenti, dimi­nuire la nostra dipendenza, o porci in grado di profittare d’un favorevole emergente. Quando però fra i varj popoli assortiti sotto lo stesso governo o da conquiste o dall’interesse delle famiglie che ne avevano la proprietà, l’uno vuole inoltrarsi nella via della civiltà, l’altro par quasi nato alla schiavitù, e pone tutta la sua gloria nel secondare i Governanti, onde comprimere ogni slancio di libertà, che resta egli mai, ove non vi sia probabilità di peggiorare, fuorché infrangere l’infausto giogo che a lui ei tiene, o trascinarlo suo malgrado con noi?[…]”

 

Note

1.La Svizzera è una Repubblica federale –o confederale che dir si voglia- comprendente 23 cantoni, tre dei quali (Basilea, Liechtenstein e Appenzel) sono suddivisi in due semicantoni per un insieme di 26 stati. E’ compresa fra Germania, Austria, Liechtenstein, Francia Italia.

2.Città della Svizzera e capoluogo del Cantone omonimo. Dopo essere stata francese fu annessa alla Confederazione svizzera nel 1815. Vi nacque nel 1712 J. J. Rousseau.

3.Città della Svizzera e capoluogo del cantone omonimo.

 

Giudizio critico

Ma ecco il quadro che della personalità di Tuveri ne traccia il suo massimo studioso, Gioele Solari: “Il Tuveri fu sardo in tutta l’estensione del termine, fu il rappresentante tipico dell’anima e della mentalità sarda. A dimostrare quest’affermazione dovrei ricordare le storiche polemiche col Siotto e coi fratelli Martini, l’opposizione, che parve temeraria, al Gioberti nel Parla­mento subalpino, la parte avuta come rappresentante della Provincia e del Comune alla risoluzione dei pro­blemi economici che pesavano sulla Sardegna risorta, la lotta ad oltranza sostenuta contro il governo per l’iniquo trattamento fatto al suo paese, l’opera del giornalista tutta intesa a richiamare il suo popolo a dignità di na­zione, a farne conoscere le miserie e i bisogni, a difen­derlo contro immeritate accuse, dovrei infine rilevare i suoi rapporti col Mazzini dell’interesse della causa demo­cratica repubblicana. Per quest’ultimo aspetto la fi­gura del Tuveri si eleva e si estende oltre i confini della Sardegna e viene a prender posto tra i numi tutelari della maggior patria italiana.

     A questi geni benefici che la forza invocarono per la difesa del diritto, non contro di esso, dobbiamo in questi momenti di rinnovata barbarie, di naufragio di tutto ciò che fu vanto e ragion d’essere della civiltà no­stra, ritornare per consiglio e incitamento. La parola del filo­sofo (ricorda il Tuveri) è come la semente della parabola evangelica: or cade sulle vie, or sulle rocce, or su terreni sterili ed uggiosi. Ma nell’animo vostro, o giovani, in questo tempio sacro alla scienza, essa susciterà, non dubi­tiamo, viva ed operosa la fede che fu già del Tuveri nel trionfo ultimo della giustizia fra i popoli.”

[Giole Solari, Pensiero politico di G. B. Tuveri, Tipografia Valdès, Cagliari 1915, pagg.68-69]

 

 

ANALIZZARE

Giambattista Tuveri, in questo brano tratto dalla sua opera più nota, con un argomentare insistito, quasi scolastico, sottolinea la superiorità dello Stato federale rispetto a quello unitario: il cittadino della Confederazione elvetica è infatti –secondo Tuveri- più libero di quello dello Stato (impero) russo. Nonostante “l’impero russo sia “indipendentissimo” e “il Canton Ticino dipende da una assemblea quasi interamente composta di Tedeschi e di Francesi”. Evidentemente l’indipendenza non basta per “guarantire” la libertà.

Vi è però una “dipendenza sociale, libera e vicendevole” : quella che lega –per esempio- i cittadini della Svizzera italiana con gli altri Cantoni della Confederazione elvetica; di contro vi è “una dipendenza unilaterale e servile che lega quella dei cosi detti possessi che gli Europei hanno nelle Indie e altrove”. La prima è una dipendenza che permette la libertà la seconda la “opprime”.

Tuveri inoltre in questo brano –ma il discorso può estendersi a tutta la sua opera-  come sottolineerà il già citato, Gioele Solari, manifesta ”un senso della realtà e della relatività (storica) che pochi democratici dell’età sua possedettero in grado così spiccato”.

L’impiego dei verbi all’impersonale (hassi, v’ha, v’han ecc.) denota una visione in qualche modo oggettiva dei fatti e dei fenomeni che descrive, come se lui li guardasse in modo freddo e distaccato.

 

FLASH DI STORIA-À

-Il federalismo di Giovanni Battista Tuveri

“La notorietà di Giovanni Battista Tuveri ebbe inizio ai primi del 1848 in segui­to agli avvenimenti succedutisi alla fusione con il Piemonte ed alla concessione dello Statuto Albertino.

Il Tuveri fu tra coloro che individuarono subito in quell’atto affrettato un er­rore senza rimedio, che non avrebbe fatto che aggravare le già tristi condizioni dell’Isola.

Con la concessione dello Statuto, tutto il mondo politico moderato dell’Isola si scoprì improvvisamente propugnatore di idee costituzionali e progressiste. Il Tu­veri, spirito genuinamente democratico le cui idee erano venute a maturazione molto prima delle concessioni di Carlo Alberto, sdegnato per il trasformismo sa­baudo, ingaggiò una coraggiosa battaglia giornalistica contro il Siotto Pintor, rappresentante della nuova classe di liberali di derivazione piemontese. Forse è bene dire che, nella polemica contro il Siotto del 1848, il pensiero repubblicano del Tuveri non viene ancora compiutamente espresso. Vi si può notare anzi una sorta di benevola attesa verso il regime costituzionale, ma questo atteggiamento durerà poco. La delusione per le catastrofiche conseguenze della fusione (con la pioggia di nuovi balzelli che l’applicazione rigida delle leggi piemontesi aveva fat­to gravare su una terra a economia prevalentemente pastorale), l’amarezza per il modo poco democratico con cui egli stesso fu trattato nel Parlamento subalpino, nel 1849, quando aveva presentato una mozione di censura contro Vincenzo Gio­berti, lo condurranno ben presto a consolidare definitivamente le sue convinzioni repubblicane.

Nel 1851 diede alle stampe la sua opera maggiore Il Trattato teologico­filosofico. Del diritto dell’uomo alla distruzione dei cattivi governi,in cui il pensiero repubblicano è meglio definito in senso federalistico. Il secondo capito­lo del Trattato, dedicato ai problemi della libertà e dell’indipendenza, è un chiaro appello a una sistemazione federalistica dell’Italia, la sola che potesse conciliare le diverse esigenze delle varie regioni con l’unità politica dello Stato.

L’autonomia per Tuveri è la forma più completa di realizzazione della divisione dei poteri. Di conseguenza la rinascita dell’Isola è possibile quando questa venga messa in condizioni di autogovernarsi. Il passo successivo è quello della fe­derazione con gli altri territori autonomi per giungere così a una nuova forma di unità. Di qui la simpatia più volte ribadita dal Tuveri per le forme di Stato fede­rato quali la Confederazione Elvetica o la Repubblica degli Stati Uniti d’America ed infine la vagheggiata Federazione europea che avrebbe necessariamente segui­to la Federazione italiana.

 Qui sta l’originalità del pensiero tuveriano. Al tempo in cui scriveva il Tratta­to, è provato che il Tuveri non conosceva ancora le idee di Cattaneo e di Ferrari. Solo più tardi sarà Efisio Contini a metterlo in contatto con i massimi rappresentanti del repubblicanesimo italiano. Tuveri fu talvolta definito un seguace del Mazzini, dati i rapporti di collaborazione che il pensatore sardo intratteneva con i giornali mazziniani; altre volte fu avvicinato al Cattaneo a causa delle sue idee federalistiche. Senonché il fonda­mento mistico-religioso che pervade le opere del Tuveri nulla può avere in comu­ne con il rigido positivismo del Cattaneo; dal Mazzini si distacca per non condivi­dere la sua ideologia unitaria. In realtà il Tuveri non fu seguace di nessuno dei due ed il suo repubblicanesimo federalista era troppo originale per poter essere inscritto in una precisa corrente italiana di pensiero. D’altra parte non è possibile comprendere il suo pensiero (derivato dalla cultura gesuitica del secolo XVI) sen­za tener conto della particolare situazione storica della Sardegna.

L’opera del Tuveri suscitò non poche perplessità presso i suoi contemporanei, stupiti di trovarsi di fronte ad un’opera teologico-filosofica di sapore seicente­sco e per nulla preparati a scorgervi i legami con la situazione politico-sociale della Sardegna del momento.

L’analisi del dispotismo e la giustificazione del tirannicidio e la dottrina della sovranità popolare fatte dal Tuveri giustificano l’opinione di studiosi come Gioe­le Solari e Alessandro Levi che ricercano le origini del pensiero tuveriano nella dottrina dei monarcomachi cattolici della scuola gesuitica spagnola del sec. XVI, anche se l’Autore si sforza di ricavarne una visione democratica e moderna”.

[Gianfranco Contu, Il federalismo in Sardegna, un’alternativa perdente? Editrice Altair, Cagliari 1982, pagg.46-47]

 

Lettura [il testo è tratto da Il Movimento Sardo, “Giornale quotidiano politico, amministrativo e commerciale” che Tuveri diresse per poco tempo. Si tratta di un articolo non firmato del 28-6-1876, n.136)]

 

“Il vero decentramento stà nel lasciare al popolo l’esercizio di tutti quei diritti che non sono imprescindibili per lo Stato… Chi vuol discentrare davvero deve partire dal principio, che, generalmente parlando, niuno provvede meglio ai propri affari quanto chi vi è più interessato. L’interesse aguzza l’intelligenza e l’attività anche dei più torbidi. Quindi libertà individuali, libertà comunale, libertà provinciale, libertà regionale, finché queste libertà non sieno in opposizione con diritti più fondati e più rilevanti. Un Governo che si ingerisce di tutto, non può essere che lo strumento di quelli dei quali ha d’uopo di prendere l’imbeccata. Arrogandosi, per esempio, la scelta dei Sindaci, anche dei più miseri Comuni rurali, il Governo gli sceglie forse egli? Ei non fa che seguire i suggerimenti, ora della Preféttura, ora di qualche deputato, ora della polizia, ora della pretura, ecc… che spesso si affidano ad informazioni non sempre leali di altre persone.

Il vantaggio maggiore del discentramento sta pertanto nell’evitare delle pratiche che ridondano altresì a danno degli amministrati. S’intende che l’esaurimento di tali pratiche richiede un gran numero d’impiegati e quindi sciupio di denari. Ma la questione prende un aspetto sinistro quando si presenta come una grande speculazione finanziaria. Allora la libertà non entra nel decentramento che come il q. s. [quantum sufficit] delle ricette, vale a dire quanto basta per sgravare, come certo colore di liberalismo, sui Comuni e sulle Province, i pesi dello Stato. Ma al contribuente poco importa come si chiami l’imposta, se erariale, comunale o provinciale. Ei bada al vuoto che gli lascia nella borsa o nel portafogli, ché ora non si tratta più di borse. E se oltre ad accollarci nuovi servigi, ci si imporrà pure il personale colle relative tabelle di competenze, si maledirà al discentramento, come si maledice a tante altre riforme, che pure erano nei voti di tutti”.

 

 

COMPRENDERE E VALUTARE

Altre attività didattiche per lo studente

Approfondimenti

-L’Editto delle Chiudende, emanato il 6 Ottobre 1820 dal re sabaudo Vittorio Emanuele I, stabiliva che qualunque proprietario avrebbe potuto liberamente “chiudere di siepe o di muro o vallar di fossa qualunque suo terreno non soggetto a servitù di pascolo, di passaggio, di fontana o d’abbeveratorio”. A parte gli abusi e le sopraffazioni –si chiusero terreni incorporando strade, ruscelli e fontane-  tanto che ci fu bisogno di ulteriori editti che li limitassero.

Con quella legge si pose di fatto fine all’uso comune della terra da parte di tutto il popolo e al diritto di ademprivio: al diritto cioè, riconosciuto a tutti i componenti delle comunità, di far legna, raccogliere ghiande, attingere acqua, mettere gli animali al pascolo. Le conseguenze per le popolazioni e soprattutto per i pastori furono devastanti. Approfondisci e illustra tale Editto.

 

Confronti

-Confronta e illustra il federalismo moderato di Gioberti, quello democratico e repubblicano di Cattaneo con quello di Tuveri.

 

Ricerche (anche a mezzo internet)

-Servendoti anche di Internet censisci gli stati federalisti presenti oggi nel mondo

 

Altri spunti

-Traccia una sintesi della Confederazione elvetica, la democrazia di base e il pensiero di Rousseau.

-Illustra i poteri dello Stato federale e i poteri degli Stati federati.

 

 

Bibliografia essenziale

Opere dell’Autore

Il Trattato teologico-filosofico. Del diritto dell’uomo alla distruzione dei cattivi governi”, Tipografia nazionale, Cagliari 1851

– Tutte le opere, 6 voll., Delfino editore, Sassari, 1990-1994.

– Scritti giornalistici: questione sarda, federalismo, politica internazionale, questione religiosa, a cura di Lorenzo Del Piano, Gianfranco Contu e Luciano Carta, , Delfino editore, Sassari, 2003.

-La politica della ragione: antologia di scritti, 1848-1884, a cura di Alberto Contu, Editore Giuffrè,Milano,1989.

 

Opere sull’Autore

Giole Solari, Pensiero politico di G. B. Tuveri, Tipografia Valdès, Cagliari 1915.

-Gianfranco Contu, G. B. Tuberi, Vita e opere, EDES, Cagliari 1973.

-Aldo Accardo, Il pensiero politico di G. B. Tuveri nel giudizio dei contemporanei, Cagliari, Editrice Sardegna, 1989, estr. “Archivio sardo del movimento operaio contadino e autonomistico”, 1989, nn.26-28, 31-12-1989 

– Gianfranco Contu-Ivo Murgia, Giuanni Battista Tuveri, Alfa editrice, Quartu 2007.

*Tratto da Letteratura e civiltà della Sardegna volume I di Francesco Casula, Grafica dekl Parteolla Editore, Dolianova, 2011, pagg.123-130.

 

 

 

In ricordo di Giovanni Battista Tuveriultima modifica: 2013-08-04T10:05:44+02:00da zicu1
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