Antonio Simon Mossa

Antonio Simon Mossa

1.La sua figura.

Simon Mossa è un architetto di talento, arredatore, urbanista e artista di genio, insegnante dell’istituto d’arte e scenografo, intellettuale dagli interessi pressoché enciclopedici e dalla forte sensibilità artistica, umanista e nel contempo eclettico da uomo del ‘700, viaggiatore colto e curioso del nuovo e del diverso tanto da spaziare con gusto e competenza nell’ambito di una pluralità vastissima di arti: dalla letteratura alla pittura e alle arti popolari. Ma soprattutto, – almeno per quanto mi interessa in questa sede – brillante ideologo e giornalista, polemista ironico e versatile.    

 

2. La Sardegna “colonia”.

Simon Mossa considera la Sardegna come una colonia interna dello Stato Italiano e nel contempo una Nazione (“unità o comunità etnica ben distinta dalle altre componenti dello Stato Italiano”) oppressa dallo stesso Stato, brutalmente e pervicacemente unitario, accentrato e centralistico.

In sintonia con i “Nuovi meridionalisti”, – penso in modo particolare a Nicola Zitara (2) a EdmondoMaria Capecelatro e Antonio Carlo (3), quest’ultimo fra l’altro per molti anni docente incaricato di diritto del lavoro all’Università di Cagliari – ritiene che la Sardegna sia una “colonia interna” dello Stato italiano e che dunque la dialettica sviluppo-sottosviluppo si sia instaurata soprattutto nell’ambito di uno spazio economico unitario – quindi a unità d’Italia compiuta – dominato dalle leggi del capitale.

   Simon è ugualmente in sintonia con studiosi terzomondisti come V. Baran (4) e Gunter Frank (5) che in una serie di studi sullo sviluppo del capitalismo tendono a porre in rilievo come la dialettica sviluppo-sottosviluppo non si instauri fra due realtà estranee o anche genericamente collegate, ma presuma uno spazio economico unitario in cui lo sviluppo è il rovescio del sottosviluppo che gli è funzionale: in altri termini lo sviluppo di una parte è tutto giocato sul sottosviluppo dell’altra e viceversa.

“L’oppressione coloniale – scrive – si è intensificata con lo Stato Italiano… l’emigrazione, la distruzione dell’economia locale, l’imposizione di modelli di sviluppo forestieri comportano effetti devastanti contro la struttura sociale del popolo sardo” (6). Attacca poi duramente “l’albagia dei colonialisti romani”(7) che si permette di considerarci “straccioni, infingardi, banditi, mantenuti e queruli mendicanti”(8). Altrettanto duro è con i Partiti italiani che “rappresentavano e servivano esclusivamente gli interessi della potenza coloniale che sfruttava la Sardegna” (9). E ancora “La partitocrazia di importazione, aspetto non secondario del fenomeno di colonizzazione e di snazionalizzazione adottato dall’Italia, nella sua funzione di potenza occupante, costituisce nella nostra terra un’etichetta esteriore, uno strumento per assicurarsi il potere a tempo indefinito della madrepatria sulla colonia” (10).

   Certo – scrive Simon Mossa – “ apparentemente lo Stato è democratico ma sostanzialmente colonialista…la potenza coloniale opprime da tanto tempo la nostra gente” (11). “Uno Stato di fatto prettamente coloniale” (12) che “con i suoi organi costituzionali e di sottogoverno persistono in una politica liberticida e soffocatrice per i Sardi” (13).

   Riprendendo un articolo di Michelangelo Pira, apparso sulla Nuova Sardegna nell’Agosto del 1967 e condividendolo, lo cita testualmente:” La Sardegna ha sperimentato non solo la politica coloniale ma anche quella di colonizzazione in senso stretto. Ieri le migliori località della costa sarda erano occupati dai miliardari, oggi dal capitale forestiero industriale turistico. Ieri Arborea, oggi i poli industriali. La politica italiana è sempre stata politica colonialista, sia quando si è rivolta all’esterno con le avventure africane, sia quando si è rivolta all’interno. Sono cambiati i miti di questa politica ma la sostanza è rimasta. Che oggi siano i tecnocrati di Roma o di Bruxelles a dire quel che è bene fare o non fare in Baronia e dintorni anziché i ministri piemontesi, non cambia molto, cioè non rovescia la tendenza. Mutano le forme del colonialismo ma la sostanza politica di sfruttamento delle zone coloniali, resta” (14). 

3. La Sardegna “nazione oppressa”.

Oltre che colonia interna, per Simon Mossa la Sardegna è una “nazione oppressa”, “proibita”, “non riconosciuta” dallo Stato Italiano, emarginata dalla storia, insieme a tutte le altre minoranze etniche del mondo. In Europa al pari dei Baschi, Catalani, Bretoni, Occitani, Irlandesi etc. Contro cui è in atto un pericolosissimo processo di “genocidio” soprattutto culturale ma anche politico e sociale. Si tratta di “minoranze” che “l’mperiale geometria delle capitali europee vorrebbe ammutolire” (15).

   Per Simon Mossa, che la Sardegna abbia una sua precisa identità etno-nazionale è indubitabile, tanto da portarlo a polemizzare duramente con chi la nega:” Non crediamo certo – scrive – allo slogan “Sardegna nazione mancata” coniato dai rinunciatari di ogni tempo e di ogni colore” (16).

   Più precisamente cosi definisce la Sardegna “Noi Sardi costituiamo una comunità etnica abbastanza omogenea e compatta” (17). Lo stesso concetto ripete sia al Convegno di San Basilio a Ollolai il 22 Giugno 1969  sostenendo che la Sardegna è “Una Comunità etnica con i suoi aspetti storici, geografici, sociali, economici e culturali (Lingua, tradizioni popolari etc.)(18); sia parlando con l’Europeista Guy Heurod a Strasburgo, nell’Ottobre dello stesso anno quando afferma “ Noi concepiamo la regione come entità umana, economica, in una parola etnica”(19).

  Del resto – sostiene Simon Mossa – “Persino lo Stato ha riconosciuto, almeno formalmente una sostanziale differenza fra la Sardegna e le Regioni interne del Paese. Cioè ha implicitamente riconosciuto la Comunità etnica o il popolo sardo che dir si voglia, tale da essere degno di un vero e proprio autogoverno…di un riconosciuto diritto storico” (20). E ancora, sempre sulla stessa lunghezza d’onda, ma polemizzando sommessamente con i Sardi un po’ autocolonialisti e un po’ ascari scrive :” Gli stessi italiani più realistici e politicamente ben più avanzati dei Sardi, avevano nella loro Costituzione Repubblicana solennemente confermato il diritto della Sardegna a uno Statuto speciale, cioè gli Italiani riconoscevano in sede costituzionale il carattere di  <comunità distinta> al popolo sardo per le ragioni storiche, geografiche etniche, sociali che il Partito sardo aveva con chiarezza sin dalle origini posto sul tappeto” (21).

4. “Il Genocidio”.

Per annichilire e distruggere l’identità etno-nazionale dei Sardi è in atto – secondo Simon Mossa – “un processo forzato di integrazione che minaccia l’identità culturale, linguistica ed etnica” (22).

   Una vera e propria aggressione, un “genocidio” sia pure “sotto ad innocente maschera della difesa di determinati interessi di classe o di casta, di privilegi, di antiche sopraffazioni”(23).

   E’ lo stesso processo di “snazionalizzazione” delle minoranze etniche che vivono in Europa. “Secondo gli studi di investigatori dell’Unesco si sta arrivando – scrive Simon – a una vera e propria azione di <genocidio>. Cioè alla snazionalizzazione ad oltranza, da parte di tutte le nazioni europee verso le minoranze e le comunità etniche comprese nel proprio territorio….l’Italia che pure aderisce all’Unesco non ha mai e poi mai ottemperato alle stesse norme e gli accordi internazionali. I gravi problemi economici hanno sempre posto nella Repubblica in secondo piano i problemi delle minoranze e delle comunità etniche. L’operazione <genocidio> viene applicata egualmente in Italia con i guanti di velluto anziché col bastone” (24).

   Complici di tale <genocidio> sono anche i Sardi:” Oggi troppi sardi si lasciano comprare e si applicano con spietata brutale complicità all’opera di genocidio che si sta attuando” (25).

   E si commette genocidio “ Non solo distruggendo fisicamente un popolo. Vi sono altri modi: assoggettandolo a schiavitù e a regime coloniale, assimilandolo per mezzo dell’integrazione: questo è il più moderno, il più subdolo perché incomincia con l’intorpidimento delle coscienze, ma il punto di arrivo è lo stesso: l’uccisione della coscienza comunitaria di un popolo e la distruzione della sua personalità”(26).

   Antonio Simon Mossa, dotto in lingue diverse, viaggiatore colto e aperto alle problematiche delle minoranze etniche mondiali, ma soprattutto europee, che conosce direttamente, “de visu”, si rende conto della drammatica minaccia di estinzione che pesa su di loro: oramai sul bilico della scomparsa. Si tratta di una vera e propria catastrofe antropologica che qualche anno dopo, rispetto all’analisi e alle previsioni di Simon Mossa, sarà impietosamente documentata dal noto Centro Studi di Milano “Luigi Negro”, secondo il quale ormai ogni anno scompaiono nel mondo dieci minoranze etniche e con esse altrettante lingue, modi di vivere originali, specifici e irrepetibili, culture e civiltà. Il pretesto e l’alibi di tale genocidio è stato ed è che occorreva e che occorre superare, trascendere e travolgere le arretratezze del mondo “barbarico”, le sue superstizioni, le sue aberranti credenze, i suoi vecchi e obsoleti modelli socio-economico-culturali: espressioni di una civiltà preindustriale ormai tramontata.

   I motivi veri sono invece da individuare nella tendenza del capitalismo e degli Stati – e quindi delle etnie dominanti – a omologare e assimilare, in nome di una falsa unità, della razionalità tecnocratica e modernizzante, dell’universalità cosmopolita e scientifica, le etnie minori e marginali e con esse le differenze e specificità, in quanto “altre”, scomode e renitenti.

   Quella ”unità” di cui parla lo scrittore Eliseo Spiga in un suo recente suggestivo e potente romanzo “Capezzoli di pietra”: “Ormai il mondo era uno. Il mondo degli incubi di Caligola. Un’idea. Una legge. Una lingua. Un’eresia abrasa. Un’umanità indistinta. Una coscienza frollata. Un nuragico bruciato. Un barbaricino atrofizzato. Un’atmosfera lattea. Una natura atterrita. Un paesaggio spianato. Una luce fredda. Città villaggi campagne altipiani livellati ai miti e agli umori di cosmopolis”. Che vorrebbe – aggiungo io – un mondo uniforme, una sfera rigida e astratta nell’empireo e non invece tanti mondi, ciascuno col proprio movimento e con un suo essere particolare e inconfondibile.

   Dentro l’ottica unitarista e globalizzante, le lingue delle minoranze vengono degradate, represse e tagliate, in ossequio alle lingue di Stato, imperanti e imperiali, omologanti e impoverenti, anche perché loro stesse sono ormai giunte all’afasia quasi totale: in questo modo, insieme alle lingue minori vengono distrutti e saccheggiati interi patrimoni culturali fatti di espressività popolare, di codici etici, religiosi e giuridici, di memoria e vissuto storico, di tesori artistici e ambientali.

   Simon Mossa aveva visto con i suoi occhi e in luoghi diversi tutto ciò: terribile e insieme profondo. Aveva cioè verificato la tendenza del genocidio culturale e non solo, dei piccoli popoli, delle piccole patrie, incorporate e chiuse coattivamente nei grandi leviatani europei e mondiali, “entro un sistema artificioso di frontiere statali, sottoposti a controllo permanente, con evidenti fini di spersonalizzazione, ridotti all’impotenza e di continuo minacciati delle più feroci rappresaglie se mai tentassero di rompere o indebolire la sacra unità della Patria” (27).

   Anche quando non si trattava di una vera e propria guerra, l’emigrazione di massa, il tentativo di liquidare e potare le culture e le lingue auctotone, di distruggere le attività economiche locali imponendo modelli di sviluppo estranei quando non ostili alle vocazioni naturali del territorio, portava inesorabilmente verso la distruzione etnica.

 

5. Finalità e obiettivi di Simon Mossa

   Questo fenomeno per l’architetto algherese avanzava anche in Sardegna: di qui le sue proposte e la sua militanza politica per bloccarlo. Egli infatti non è solo un brillante ideologo ma un leader di lotte e di iniziative, politiche e culturali concrete. E’ anzi difficile trovare – come in lui – così miracolosamente fuso il nesso teoria-prassi. E la sua azione teneva sempre conto di tutte le componenti della “Questione sarda”: da quelle economiche e sociali a quelle politiche, storiche, culturali, linguistiche ed artistiche, convinto com’era che la soluzione della “Questione sarda” doveva aggredire tutti questi nodi e dunque non limitarsi al versante esclusivamente economico. “ Il nostro obiettivo – scrive – è la liberazione della Sardegna dal giogo coloniale, la redenzione sociale del nostro popolo….Lo Stato italiano ha dimostrato e dimostra di essere ferocemente colonialista e liberticida nei nostri riguardi…noi vogliamo conquistare l’indipendenza per integrarci non per separarci nel mondo moderno. Noi siamo nella stessa posizioni di quei paesi del Terzo Mondo che, nelle loro articolazioni nazionali, hanno già compiuto i primi passi verso l’indipendenza”(28). 

   In questo passo  è delineato con nettezza l’obiettivo simoniano: rompere la dipendenza coloniale – e dunque lo sfruttamento economico – e nel contempo liberare i sardi dall’oppressione nazionale. Il tutto dentro una cornice europea e mondiale.

   Simon Mossa, algherese di famiglia, membro dunque di una minoranza (quella catalana) dentro una minoranza (quella sarda) non perde dunque mai di vista nelle sue analisi come nelle sue azioni, le numerose altre nazionalità europee ed extraeuropee, al pari di quella sarda soggette a una duplice oppressione, quella “coloniale” e quella “nazionale”. Anzi, alle minoranze del “Terzo mondo europeo” propone una Federazione: sposta così la prospettiva federalista dal terreno italiano a quello euromediterraneo. Non solo. Ribaltando la visione tradizionale del federalismo europeo, all’Europa degli Stati contrappone l’Europa delle Regioni etniche e autonome, delle comunità minoritarie, delle piccole nazionalità, ignorate, contrastate e oppresse che “avrebbero provocato un radicale mutamento degli stessi confini tradizionali degli Stati” (29).

   Di qui il suo impegno perché tra le comunità etniche europee e la comunità sarda ci fossero scambi permanenti e lavora dunque per un processo di organiche alleanze anche “per evitare la dispersione del ricco patrimonio culturale europeo costituito dalle lingue regionali e dai dialetti, dalle cosiddette lingue mozze”(30): quest’ultima frase virgolettata è dello scrittore italiano Gaspare Barbiellini Amidei, ma sicuramente Simon Mossa l’avrebbe sottoscritta. E avrebbe condiviso in toto quanto Barbiellini sostiene in un suggestivo saggio, (“Il Minusvalore”, Rizzoli ed.,Milano 1972): gli uomini ricchi – ed io aggiungo i popoli ricchi – rubano da sempre agli  uomini poveri,

-ed io aggiungo ai popoli poveri – la loro fatica, pagandola con un salario che è soltanto una parte dei loro prodotti. Il resto, plus valore, va ad accumulare altra ricchezza. Ma gli uomini – e i popoli – ricchi  rubano  agli uomini – e ai popoli – poveri anche la memoria, la lingua, la cultura, la bontà.

 

6. Identità, Lingua e cultura

Uno degli elementi che per Simon Mossa devasta maggiormente l’Identità di un popolo è l’attacco alla cultura e alla lingua locale: in Sardegna dunque il divieto e la proibizione della cultura e della lingua sarda, segnatamente dell’uso pubblico del Sardo.

   L’ideologo nazionalitario e indipendentista, poliglotta – conosce infatti e parla correttamente lo spagnolo, il catalano, l’inglese, il tedesco, oltre che il Sardo in tutte le sue sfumature, ma studia anche il russo, il greco e l’arabo – sa bene che un popolo senza Identità, in specie culturale e linguistica, è destinato a “morire”: “ Se saremmo assorbiti e inglobati nell’etnia dominante e non potremmo salvare la nostra lingua, usi costumi e tradizioni e con essi la nostra civiltà, saremmo inesorabilmente assorbiti e integrati nella cultura italiana e non esisteremo più come popolo sardo. Non avremmo più nulla da dare, più niente da ricevere. Né come individui né tanto meno come comunità sentiremo il legame struggente e profondo con la nostra origine ed allora veramente per la nostra terra non vi sarà più salvezza. Senza Sardi non si fa la Sardegna. I fenomeni di lacerazione del tessuto sociale sardo potranno così continuare, senza resistenza da parte dei Sardi, che come tali, più non esisteranno e così si continuerà con l’alienazione etnica, lo spopolamento, l’emarginazione economica. Ma questo discorso è valido nella misura in cui lo fanno proprio tutti i popoli parlanti una propria originale lingua e stanzianti in un territorio omogeneo, costituenti insomma una nazione che sia assoggettata e inglobata in uno Stato nel quale l’etnia dominante parli una lingua diversa” (31).

   A fronte di questo pericolo e di questo rischio reale, documentato fra l’altro dal fatto che i Sardi stanno abbandonando uno dei tratti più significativi ed essenziali della loro Identità, ovvero la propria lingua materna, Simon Mossa interviene su questo versante come su quello complessivo della Sardità e dunque dell’etnos, con i suoi scritti come con la sua iniziativa politica concreta: dalla battaglia per difendere l’autonomia di Radio Sardegna – la radio perderebbe immediatamente le sue capacità educative , scriveva ne <Il Solco letterario> del 23 Settembre 1965, se dovesse essere accentrata, unitaria e controllata da un gruppo o da una fazione politica –  ai modi auctotoni di costruzioni, alieno com’era dal seguire schemi e mode esterne.

Ha scritto Vico Mossa:” Doveva trasparire la sardità quando fu incaricato di ampliare e modificare il primo Piccolo Hotel El Faro, presso la Torre di Porto Conte, ispirandosi a partiti costruttivi delle <lolle di Assemini>…Sortì un effetto razionale ed accogliente, che piacque agli ospiti del primo vero boom turistico di Alghero: era un albergo che si attagliava alla cittadina catalana” (32).

   Sempre a proposito della sua architettura ha scritto G. B. Melis” Le sue soluzioni erano ispirate dall’arte e interpretate con senso di poesia e di genuina fedeltà alla matrice: la Sardegna, il suo mondo, valorizzato e fuso nelle realizzazioni più rispondenti alle tecniche più moderne e razionali”(33).

La sua attività di costruzione-ricostruzione dell’Identità etnonazionale dei Sardi vista in tutte le sue componenti – abbiamo già accennato a quella architettonica e artistica – è particolarmente intensa nello studio e nella valorizzazione del Sardo come del Catalano di Alghero.

Appassionato e studioso di lingua e di linguistica  – fra l’altro traduce in Sardo il Vangelo e scrive ottave deliziose – ritiene che “Il sardo lungi dall’essere un dialetto ridicolo è già, ma in ogni modo può e deve essere una lingua nella misura in cui sia parlato e scritto da un popolo libero e capace di riaffermare la propria identità”(34). A questo proposito pone questo interrogativo “ Hai mai meditato su ciò che significa l’esclusione della nostra lingua madre dalle materie di insegnamento delle scuole pubbliche e il divieto di farne uso negli atti “ufficiali”? Ci regalano insegnanti di un italiano spesso approssimativo e zeppo di provincialismo e noi non abbiamo il diritto di esprimerci adeguatamente nella nostra lingua! Ci hanno privato del primordiale e più autenticamente <autonomista> strumento di comunicazione fra gli uomini!” (35)

   Sostiene ciò nel Luglio del 1967 al Convegno- di “Studi dottrinari sardisti” a Bosa, molto prima che in Sardegna la Questione del “Bilinguismo perfetto” diventasse oggetto di discussione prima e di iniziativa politica poi: a buona ragione possiamo perciò considerare Simon Mossa il precursore più avveduto, il vero profeta e anticipatore delle proposte prima e della Legge sul Bilinguismo poi. Con acume e perspicacia aveva capito che il problema della Lingua sarda non era tanto o soltanto parlarla, magari nell’ambito familiare, ma scriverla e soprattutto insegnarla nelle Scuole e usarla nella Pubblica Amministrazione: il problema era cioè la sua ufficializzazione.

   Oggi noi nel 2002 sappiamo bene che la Lingua sarda, al di fuori di questa prospettiva è destinata a morire o, al massimo, a vivacchiare e languire, marginalizzata e ghettizzata nei bomborimbò delle feste paesane. Simon Mossa questo lo aveva capito ben più di 30 anni fa: di qui la sua azione.

Nel 1960 pubblica il periodico “Reinaixencia nova” scritto completamente in catalano. Il 10 Settembre 1961 organizza con il Centro d’Estudios Algheresos – di cui è Presidente – “Giochi floreali della lingua catalana” ad Alghero;  nello stesso periodo promuove una “Sezione per la poesia algherese” all’interno del “Premio Ozieri” (36) a cui peraltro aveva segretamente concorso nello stesso 1961 con una poesia in sardo (titolo: ”Cabras”) ottenendo il sesto premio e la menzione speciale d’onore, prima che nell’anno successivo entrasse nella Giuria stessa del premio.

   La valorizzazione delle tradizioni popolari come delle gare poetiche per Simon Mossa non è vista però come mania estetizzante e folclorica ma come sforzo – uso volutamente una bella espressione di Antonello Satta –  “per tentare di non far inaridire le radici culturali intime della nostra sfiorita nazionalità” (37). E sa limba è per Simon Mossa lo strumento fondamentale: per combattere “l’integrazione e l’oppressione unitarista statuale“ (38); per opporsi “al massiccio attacco in atto dell’imperialismo delle <culture superiori> e delle maggiori comunità etniche nazionali”(39); “|per la rivoluzione sarda per l’indipendenza, non tanto e non solo di emancipazione e economica e sociale ma anche e soprattutto di libertà dell’intero popolo in senso etnico, etico e culturale”(40).

   Per Antonio Simon Mossa il problema dell’autonomia culturale del popolo sardo fu dunque quello centrale in tutto il suo pensiero e in tutta la sua appassionata azione politica. Per questo la questione della Lingua sarda, ovvero “della possibilità di scambio, di informazione e di istruzione nell’ambito della comunità, senza la presenza del dominatore e senza la sua tutela, aveva per lui tanto rilievo” (41). Egli infatti vedeva la difesa e lo sviluppo dell’autonomia culturale, non tanto – o non solo – come la riscoperta o il recupero, in qualche modo etnografico e antropologico, degli antichi valori e degli istituti giuridici, etici, consuetudinari o come la cernita minuta di quanto sia vivo e di quanto sia morto nel magma della tradizione isolana; bensì come ricerca proiettata nel futuro, dell’identità nazionale dei Sardi. E ricerca “non puramente storica e letteraria, ma come resistenza e lotta popolare contro l’asfissia e il livellamento culturale perpetrati dal capitalismo e dall’imperialismo. Non gli era sfuggito che quindi senza la riaffermazione dell’autonomia culturale, anche la più gloriosa lotta di liberazione popolare può approdare a risultati solo parziali e precari” (42).

 

Conclusione

Da più parti si è parlato di Antonio Simon Mossa come di un vecchio cavaliere ed eroe romantico, di un apostolo, di un nuovo profeta, idealista e utopista. Può darsi. Forse era anche “irragionevole”. Ma di quella irragionevolezza di cui parlava un caustico esponente della cultura europea del primo Novecento quando affermava che l’uomo ragionevole si adatta al mondo, l’uomo irragionevole vorrebbe adattare il mondo a se stesso: per questo ogni progresso dipende dagli uomini irragionevoli.

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

1.     Marx-Engels, “Corrispondenze con Italiani” Milano 1864.

2.     Nicola Zirara, “L’Unità d’Italia- nascita di una colonia”, ed. Jaca-Book, Milano, 1971.

3.     E. M. Capecelatro- A. Carlo, “Contro la Questione Meridionale”, ed.

     Savelli, Roma 1972.

4.     V. Baran, “Il surplus economico e la teoria marxiana dello sviluppo”,

     Milano,1966                            

5.  Gunter Frank, “Capitalismo e sottosviluppo in America latina, Torino 1969       

6.     Relazione in ciclostilato nella Riunione di Ollolai (10 Giugno 1967) nei monti del Santuario di Santu Basili, ora in “Antonio Simon Mossa: Le ragioni dell’indipendentismo” Ed. S’Iscola Sarda. Sassari 1984 a cura di Cambule-Giagheddu-Marras e in “Sardisti” vol.II di Salvatore Cubeddu, Ed. EDES, Sassari 1995, pagg.476-477.

7.     La Nuova Sardegna 4 Agosto 1967:”No ai Sardi straccioni” di Fidel.( Lo pseudonimo con cui Antonio Simon Mossa firmava, per la gran parte, i suoi articoli: Altri pseudonimi cui ricorse furono: “Giamburrasca”, “Il Moro”, “Cecil”.

8.     Ibidem.

9.     Tesi di F. Riggio, Etnia e Federalismo in Antonio Mossa, relatore il Prof. Giancarlo Sorgia, Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Cagliari, A.A. 1975-76.

10.           Ibidem.

11.           Ibidem.

12.           La Nuova Sardegna 1° Agosto 1967.

13.           Ibidem.

14.           La Nuova Sardegna, Agosto 1967, Intervento di Michelangelo Pira.

15.           La Nuova Sardegna, 28 Ottobre 1972, Intervento di Eliseo Spiga.

16.           La Nuova Sardegna, 4 Agosto 1967, art. cit.

17.           La Nuova Sardegna, 2 Settembre 1965, Fidel.

18.           Relazione al Convegno di Ollolai, cit. al punto 6.

19.           La Nuova Sardegna 18 Agosto 1971, Intervento di Mario Melis.

20.           Lettera ad Anselmo Contu l’11 Novembre 1967 ora in “Sardisti” op. cit. pag.481-494.

21.           Tesi di Riggio, op. cit. pag.17

22.           “L’Autonomia politica della Sardegna” – Nota critica introduttiva – Ed. Sardegna libera, Sassari 1966.

23.           La Nuova Sardegna 20 Agosto 1965, ora in “Sardisti” op. cit. pag.458

24.           La Nuova Sardegna 2 Settembre 1965, op. cit.

25.           La Nuova Sardegna 11 Agosto 1967, Intervento di Fidel.

26.           Ibidem.

27.           “Il Partito sardo d’azione e la lotta di liberazione anticolonialista” in Sardegna libera, anno1° n.2 Aprile 1971, Sassari.

28.           Ibidem

29.           Gian Franco Contu, Sa Republica Sarda, Dicembre 1971.

30.           Gaspare Barbiellini Amidei, Corriere della sera, 1° e 8 Dicembre 1971.

31.           La Nuova Sardegna, 18 Agosto 1971, op. cit.

32.           Sardisti, op. cit. pag. 449-450.

33.           La Nuova Sardegna 18 Agosto 1971, Intervento di G. B. Melis.

34.           La Nuova Sardegna 8 Agosto 1972, Intervento di Michelangelo Pira.

35.           La Nuova Sardegna 11 Agosto 1967 Intervento di Fidel.

36.           La Nuova Sardegna, 25 Luglio 1972.

37.           La Nuova Sardegna,20 Maggio 1973, Intervento di Antonello Satta.

38.           Sardegna Libera, Aprile 1971.

39.           Ibidem.

40.           Ibidem.

41.           La Nuova Sardegna, 28 Ottobre 1972,Intervento di Eliseo Spiga, op. cit.ù

42.           Ibidem  

 

Testi per conoscere meglio il pensiero e la figura di Antonio Simon Mossa

  • Federico Francioni (a cura di), Antonio Simon Mossa. Dall’utopia al progetto, Edizioni Condaghes, Cagliari, 2005.
  • Raffaele Sari, Antonio Simon Mossa ad Alghero, Edizioni del Sole
  • Antonio Simon Mossa, Le ragioni dell’indipendentismo, Alfa Editrice, Quartu Sant’Elena, 2008.
  • Giampiero Marras (a cura di), Antonio Simon Mossa. Un intellettuale rivoluzionario, Alfa Editrice, Quartu Sant’Elena, 2008.
  • Giampiero Marras, Simon Mossa visto da vicino, Alfa Editrice, Quartu Sant’Elena, 2005.
  • Frantziscu Casula, Antoni Simon Mossa, Alfa Editrice, Quartu, 2006.
  • Francesco Casula, Uomini e donne di Sardegna, pagg.247-281, Alfa Editrice, Quartu Sant’Elena, 2010

        

 

Antonio Simon Mossaultima modifica: 2013-08-04T17:58:43+02:00da zicu1
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