Lingu sarda e Letteratura

1. LA NASCITA DELLA LINGUA SARDA E I PRIMI DOCUMENTI.

-Apparizione di un volgare “nazionale”.

Il sardo (come l’italiano e le altre lingue neolatine o romanze: il portoghese, il castigliano, il catalano, il francese, il provenzale, il franco-provenzale, il ladino e il rumeno) deriva dal latino comune, ossia dal latino parlato e non da quello letterario, noto come latino volgare.  Queste lingue si formano in Europa nei regni cosiddetti romano-barbarici nel periodo di tempo compreso tra il 476 d.C., data della caduta dell’Impero Romano d’Occidente, e l’VIII-IX secolo, quando cominciano ad apparire le prime attestazioni scritte dei volgari neolatini.

La lingua sarda è una delle prime lingue neolatine che si formano in Europa, circa 400 anni prima della lingua italiana. Infatti le prime testimonianze del volgare sardo nelle diverse parti dell’Isola risalgono alla fine del secolo XI e compaiono in tutti e quattro i Giudicati sardi: quasi contemporaneamente nel Giudicato di Cagliari al Sud e nel Giudicato di Torres al Nord. Subito dopo al centro, nel Giudicato di Arborea ed infine al Nord est nel Giudicato di Gallura.

Così mentre in questo stesso periodo nelle altre regioni italiane ma anche in altre parecchie aree romanze, sul fronte del volgare, si registrano ancora silenzi totali, nell’Isola, in Monasteri e Basiliche appaiono i primi documenti in Lingua sarda. Si tratta di una ricchissima messe di documenti volgari del medioevo fra le più importanti in assoluto nell’area delle lingue romanze.

Anche in Sardegna -come in quasi tutto il mondo neolatino-  l’esigenza del volgare sgorga e prende forma dalla cultura e dalla pratica giuridica: è questo il terreno in cui anche la lingua sarda o meglio le varietà locali che l’articolano, affermano la loro prima necessità di scrittura. “Solo che poi, -scrive Paolo Merci in Le origini della scrittura volgare, in La Sardegna Enciclopedia, vol. I, sezione Arte e Letteratura, a cura di Manlio Brigaglia, Ed. Della Torre, Cagliari 1982, pag.12- a differenza di quasi tutte le culture romanze coeve, dall’area limitata dell’uso giuridico la lingua scritta in Sardegna non s’affranca quasi mai, fino al Quattrocento inoltrato. I tre secoli che precedono forniscono solo ampia documentazione di negozi, donazioni, contratti, processi, le loro spesso abbreviate registrazioni da parte dei monasteri (i cosiddetti Condaghi) atti politici in genere minori, ma talvolta invece assai solenni come statuti e leggi o trattati intergiudicali. Con solo qualche sporadica apertura alla cronaca (il Libellus judicum turritanorum e qualche sparsa pagina dei condaghi) o ancora nei condaghi qualche breve involontaria concessione narrativa”.

Se l’assenza di resti della poesia popolare è fenomeno, con poche eccezioni, comune alle origini romanze, ciò che invece colpisce è la totale mancanza nella Sardegna medievale di qualsiasi forma di poesia o letteratura «colta» in volgare, in contrasto con la ricchezza di carte volgari e la tempestività con cui la prosa sarda afferma la sua emancipazione dall’oralità, la duttilità che la lingua mostra nei condaghi e più avanti nel corso di tutto il secolo XIV, la capacità e l’efficacia mostrata dal volgare nell’impegnarsi ad interpretare e risolvere problemi di rapporto fra il potere locale e le genti isolane (e di cui sono testimonianza documenti come gli Statuti Sassaresi, quelli di Castelsardo, le Carte de logu ecc.).

Se letteratura scritta ci fosse stata, certo qualche resto anche parziale e mutilo, qualche ricordo o accenno sarebbe rimasto negli stessi conventi o archivi che ci hanno conservato i documenti giuridici.

 

-I primi documenti in lingua sarda

Le caratteristiche dei primi documenti in sardo sono, come abbiamo visto, la precocità e la copiosità rispetto alle altre regioni italiane, la diffusione generalizzata in tutte le zone dell’Isola, la complessità e la maturità linguistica e stilistica. “I Sardi inoltre –scrive Mario Puddu, autore di un eccellente Ditzionariu de sa limba e de sa cultura sarda nonché di una Grammatica de sa limba sarda sono i primi fra tutti i popoli di lingua romanza a fare della lingua comune della gente, la lingua ufficiale dello Stato, del Governo” (in Istoria de sa limba sarda, Ed. Domus de Janas, Selargius, 2000, pag.14).

In ambiente laico, le cancellerie giudicali sono le uniche depositarie della scrittura: che però, si avvalgono dell’operato degli ecclesiastici. Così i primi documenti scritti in sardo e redatti in Sardegna provengono dalle cancellerie dei Giudicati oltre che dai conventi, monasteri e basiliche.

Il documento più antico proviene dal Giudicato meridionale: è la Carta del giudice Torchitorio che contiene un’ampia donazione che fa all’arcivescovo di Cagliari (ville e soprattutto i diritti su “totus sus liberus de paniliu cantu sunt per totu Caralis– tutti i liberi dal panilio che si trovano Cagliari: “Se il paniliu  –scrive Francesco Cesare Casula nel suo Dizionario storico sardo- era «la schiera, la lista di servi», i liberos de paniliu nei regni giudicali sardi (Calàri, Torres, Gallura, Arborèa) sarebbero i liberati dal “panilio”, cioè gli affrancati dalla lista dei servi, divenuti semiliberi o colliberti, chiamati in sardo medioevale anche liberos ispesionarios o pensionarii in toscano antico” .

 Pare che il termine panilio –scrive ancora F. Cesare Casula-  derivi da banilius, proclama franco carolingio che imponeva ai vassalli certe prestazioni o corvèe, quali l’obbligo di macinare nel mulino del signore, di cuocere nel suo forno, di strizzare l’uva nel suo torchio, ecc”. Chi dunque se ne affrancava era libero dal paniliu).

La Carta che va datata fra il 1070-1080 (Arrigo Solmi) non ci è pervenuta nell’originale: ne resta una copia quattrocentesca nell’Archivio arcivescovile di Cagliari. Sempre agli anni 1070/1080 o comunque a prima del 1100 si fanno risalire altre Carte: solo nell’Archivio arcivescovile di Cagliari ce ne sono 21, scritte in diverse zone della Sardegna, in lingua sardo-campidanese o sardo-logudorese, le cui differenze comunque erano meno marcate di quelle odierne.

Segue a poca distanza di tempo (1080-85) il così detto Privilegio logudorese detto anche Carta consolare pisana, di cui rimane la pergamena  originale nell’archivio di stato di Pisa. E’ il più antico documento sardo del nord della Sardegna.

Ecco il testo.

 

PRIVILEGIO LOGUDORESE

In nomine Domini amen. Ego iudice Mariano de Lacon fazo ista carta ad onore de omnes homines de Pisas pro xu toloneu ci mi pecterunt: e ego donolislu pro ca lis so ego amicu caru e istos a mimi; ci nullu imperatore ci lu aet potestare istu locu de non (n)apat comiatu de leuarelis toloneu in placitu: de non occidere pisanu ingratis: e ccausa ipsoro ci lis aem leuare ingratis, de facerlis iustitia imperatore ci nce aet exere intu locu. E ccando mi petterum su toloneu, ligatorios ci mi mandarun homines ammicos meos de Pisas, fuit Falceri e Azulinu e Manfridi, ed ego fecindelis carta pro honore de xu piscopu Gelardu e de Ocu Biscomte e de omnes consolos de Pisas: e ffecila pro honore de omnes ammicos meos de Pisas; Guidu de Uabilonia e lLeo su frate, Tepaldinu e Gelardu, e Iannellu, e Ualduinu, e Bernardu de Conizo, Francardu e Dodimundu e Brunu e rRannuzu, e Uernardu de Garulictu e tTornulu, pro siant in onore mea ed in aiutoriu de xu locu meu. Custu placitu lis feci per sacramentu Ego e domnicellu Petru de Serra, e Gostantine de Azzem e Bovechesu e Dorgotori de Ussam e nNiscoli su frate (e n)Niscoli de Zor(i e) Mariane de Ussam (…)

 

Traduzione

In nome di Dio, amen. Io giudice Mariano di Lacon faccio questa carta ad onore di tutti gli uomini di Pisa, per il dazio che mi chiesero; ed io la dono loro perchè sono a loro amico caro ed essi a me; che nessun imperatore (governatore) che abbia a governare in questo luogo non possa togliere loro questo dazio concesso con placito: di non uccidere arbitrariamente un pisano: e quanto a coloro i quali gliela togliessero arbitrariamente, che gli faccia giustizia l’imperatore (governatore) che ci sarà nel luogo. E quando mi chiesero l’esenzione dal dazio, gli ambasciatori che mi mandarono i miei amici pisani furono Falcheri, Azzolino e Manfredi ed io feci loro la carta in onore del vescovo Gelardo e di Ugo Visconte e di tutti i consoli pisani. E la feci anche in onore di tutti i miei amici pisani: Guido di Babilonia e suo fratello Leo; Tebaldino e Gelardo e Giannello, e Ubaldino e Bernardo di Ionizzo, Francardo e Odimundo e Bruno e Ranuccio e Bernardo di Carletti e Tornolo. Perché possano a me rendere onore e al mio territorio aiuto, contrassi con loro questo patto sotto giuramento, io e donnicello Pietro de Serra e Costantino de Athen e Bovechesu e Torchitorio de Ussan e Discoli suo fratello e Discoli de Zori e Mariano de Ussan(…).

 

Da segnalare, fra i documenti antichi, oltre ai Condaghi, che vedremo a parte, il Libellus Judicum turritanorum (Libro dei Giudici turritani) ma siamo già nel 1255-1287, opera di carattere cronachistico, con una certa capacità di elaborazione narrativa. 

2. La Letteratura in lingua sarda

 

L’umore esistenziale del proprio essere sardo, – di cui parla Lilliu – come individui e come gruppo che, in ogni momento, nella felicità e nel dolore delle epoche vissute, ha reso i Sardi costantemente resistenti, antagonisti e ribelli, non nel senso di voler fermare, con l’attaccamento spasmodico alla tradizione, il movimento della vita e della loro storia, ma di sprigionarlo il movimento, attivandolo dinamicamente dalle catene imposte dal dominio esterno” pur in presenza di forti elementi di integrazione e di assimilazione, nella società, nell’economia e nella cultura continua a segnare profondamente, sia pure con gradazioni diverse, oggi come ieri, l’intera letteratura sarda che risulta così, autonoma, distinta e diversa dalle altre letterature. E dunque non una sezione o, peggio, un’appendice di quella italiana: magari gerarchicamente inferiore e comunque da confinare nella letteratura “dialettale”. Il sistema linguistico e letterario sardo infatti, come sistema altro rispetto a quello italiano, è sempre stato, come tale, indipendente e contiguo ai vari sistemi linguistici e letterari che storicamente si sono avvicendati nell’Isola, da quello latino a quello catalano e castigliano, e, per ultimo, a quello italiano, con tutte le interferenze e le complicazioni e le contaminazioni che una simile condizione storica comporta. Una situazione ricca e complessa, propria di una regione-nazione dell’Europa e del mediterraneo.

Nasce anche da qui l’esigenza di un’autonoma trattazione delle vicende letterarie sarde, scritte in Lingua sarda. Da considerare non “dialettali” ma autonome, nazionali sarde, vale a dire.

A questa stessa conclusione arriva, del resto, un valente critico letterario (e cinematografico) italiano come Goffredo Fofi, che nell’Introduzione a Bellas Mariposas di Sergio Atzeni scrive:”Sardegna, Sicilia. Vengono spontanei paragoni che indicano la diversità che è poi quella dell’insularità e delle caratteristiche che, almeno fino a ieri, ne sono derivate, di isolamento e di orgoglio. E’ possibile fare una storia della letteratura siciliana o una storia della letteratura sarda, mentre, per restare in area centro-meridionale non ha senso pensare a una storia della letteratura campana, o pugliese, o calabrese, o marchigiana, o laziale…

Il mare divide e costringe: La letteratura siciliana e la letteratura sarda possono essere studiate come “Letterature nazionali”. Con un loro percorso, una loro ragione, loro caratteri e segni”.

Segnatamente per due ordini di motivazioni:

1.Il sardo non può essere considerato un dialetto;

2. Difficilmente la Sardegna a causa della sua posizione decentrata e della sua peculiarissima storia, specifica e dissonante rispetto alla coeva storia  europea, segnata com’è dall’incontro con diverse culture, può essere integrata in un discorso di storia  e dunque di Letteratura italiana.

 Da una analisi attenta della letteratura in Sardo potremmo vedere che dalle origini del volgare sardo fino ad oggi, non vi è stato periodo nel quale la lingua sarda non abbia avuto una produzione letteraria.

Del resto a riconoscere una Letteratura sarda è persino  un viaggiatore francese dell’800, il barone e deputato Eugene Roissard De Bellet che dopo un viaggio nell’Isola, in La Sardaigne à vol d’oiseau nel 1882 scriverà :”Si è diffusa una letteratura sarda, esattamente  come è avvenuto in Francia del provenzale, che si è conservato con una propria tradizione linguistica”

Certo, qualcuno potrebbe obiettare, che essa, rispetto ad altre lingue romanze, ha prodotto pochi frutti. E’ questa  – per esempio – la posizione dello stesso Gramsci, che dopo aver detto una sacrosanta verità “ il sardo non è un dialetto, ma una lingua a sé”, afferma che esso non ha prodotto “ una grande letteratura”.

In realtà Gramsci non conosce la letteratura sarda: e per molti versi, non poteva neppure conoscerla, dati i tempi e le condizioni storiche – e personali – in cui viveva e operava. Come la conosceva poco lo stesso Wagner. E non la conosciamo appieno neppure oggi tanto che è urgente una grande operazione di scavo e di recupero del nostro patrimonio letterario e poetico, molto del quale è ancora inedito, numerosissimi testi sono ancora ignorati dagli stessi  critici o sepolti in biblioteche e in archivi privati e pubblici. E occorre tener conto non solo dei testi scritti ma anche di quelli orali – abbondantissimi, pensiamo solo alla poesia improvvisata o alle Preghiere (Pregadorias) o Gosos – quando ne siano recuperate le testimonianze.

Faccio solo un’esempio : abbiamo potuto conoscere Giovanni Matteo Garipa, – non lo conosceva neppure Wagner – solo recentemente, grazie alla ripubblicazione della sua opera su Legendariu de Santas Virgines et Martires de Jesu Cristu (1627) da parte dalla casa editrice Papiros di Nuoro nel 1998 con l’introduzione di Diego Corraine e la presentazione di Heinz Jürgen Wolf  e Pasquale Zucca. Eppure si tratta del più grande scrittore in lingua sarda del secolo XVII  (1575/1585-1640). Eppure molti motivi avrebbero dovuto spingere gli studiosi a conoscere e valorizzare il Garipa, ma soprattutto due:

1.la tesi del sacerdote orgolese, oggi quanto mai attuale, della necessità dell’insegnamento della lingua sarda – definita “limba latina sarda” come prerequisito per il corretto apprendimento, da parte degli studenti, anche delle altre lingue;

2.la sua convinzione che fosse urgente dotare la Sardegna di una tradizione letteraria «nazionale» sarda, ossia, come si direbbe oggi, di una lingua letteraria uniformemente usata in tutto il territorio dell’Isola e sorretta da un repertorio di testi in grado di competere con quelli delle altre lingue europee.

E’ stato anche obiettato che la lingua sarda ha prodotto “cultura bassa”. Rispetto a questa accusa occorrerebbe finalmente iniziare a liquidare certi equivoci gerarchici sulla cultura e sulle sue forme, per cui ci si attarda ancora a parlare di cultura “alta” e cultura “bassa”, di cultura “materiale” (miniere, artigianato, agricoltura, pastorizia, turismo) inferiore e subordinata alla cultura “immateriale” (lingua, letteratura, arte, musica, diritto ecc. ecc) o di cultura orale inferiore alla cultura “scritta” e dunque meno degna di essere conosciuta e studiata. La cultura, senza gerarchie, deve essere intesa in senso antropologico, ovvero nei valori sottostanti alle scelte collettive e individuali e quindi agli ideali che orientano i comportamenti, con particolare riferimento a quelli sociali.

Anche il termine “letteratura”, secondo il dettato dei più moderni e aggiornati orientamenti di studi, va inteso nel senso di scrittura o produzione di opere di cultura che occupano spazi non tradizionali quali gli atti giuridici, le costituzioni politiche, la poesia e la tradizione orale e finanche le opere di carattere didascalico o divulgativo per le quali veniva usata la lingua sarda al fine comunicare meglio con il popolo: I Catechismi come i Manuali medici-scientifici (ricordo a questo proposito Brevis lezionis de ostetricia po usu de is levatoras de su regnu de su rettori chirurgu collegiali Efis Nonnis),

Ma anche dato e non concesso che la lingua sarda abbia prodotto poco, si poteva pensare che un cavallo per troppo tempo tenuto a freno, legato  imbrigliato e impastoiato potesse correre e correre velocemente? La lingua sarda, certo, deve crescere, e sta crescendo: ha soltanto bisogno che le vengano riconosciuti i suoi diritti, che le venga proprio riconosciuto il suo “status” di lingua, e dunque le opportunità per potersi esprimere, oralmente e per iscritto, come avviene per la lingua italiana.

La Lingua sarda, dopo essere stata infatti lingua curiale e cancelleresca nei secoli XI e XII, lingua dei Condaghi e della Carta De Logu, con la perdita dell’indipendenza giudicale, viene infatti ridotta al rango di dialetto paesano, frammentata ed emarginata, cui si sovrapporranno prima i linguaggi italiani di Pisa e Genova e poi il catalano e il castigliano e infine di nuovo l’italiano.

Contrariamente a ciò che comunemente si dice e si pensa da parte degli stessi sardi, la letteratura in Sardo che l’isola ha espresso nei secoli, oltreché variegata nei diversi generi, è ricca di opere e di autori anche quando superata la fase esaltante del medioevo, all’indomani della sconfitta del regno di Arborea, mancando un centro politico indipendente, le lingue dominanti (catalano, castigliano e infine italiano) assunsero via via il ruolo di lingue ufficiali accolte in toto dal ceto dirigente isolano. La lingua sarda restò praticata dai cantori che diedero vita a una lunga tradizione poetica orale, ma anche da scrittori con riflessi di tipo colto.

Nei secoli si succedettero tentativi, da parte degli intellettuali sardi più vicini al popolo (in particolare uomini di Chiesa), di normalizzare l’uso scritto della lingua. Uno sforzo ancora oggi attuale, nel momento in cui, per effetto di una nuova coscienza linguistica, si è assistito alla nascita della prosa narrativa in lingua sarda.

Occorre comunque sottolineare che è soprattutto a partire dall’ultima metà del Novecento che i poeti e gli scrittori in lingua sarda hanno offerto risultati non solo quantitativamente ma anche qualitativamente di grande rilievo.

Recentemente sono stati censiti, in modo rigoroso – vedi Antoni Arca (in Benidores, Literatura, limba e mercadu culturale in Sardigna, Condaghes editore, Cagliari 2008) i libri di narrativa in lingua sarda pubblicati in meno di 30 anni. Ebbene nei primi dieci anni (1980-1989) le pubblicazioni sono state 22, fra cui 11 romanzi. Nei secondi dieci anni (1990-1999) le pubblicazioni sono più che raddoppiate: dalle 22 del primo decennio passano a 57. Nei terzi dieci anni (2000-2007) le opere narrative in sardo sono ben 107. E da quell’anno sono ancora cresciute enormemente. Certamente ci sono anche opere modeste e persino mediocri – come in tutte le lingue! – ma molte sono di spessore e di gran vaglia. segnatamente quando gli autori esprimono una condizione specifica sarda, per ottica e palpitazioni, per weltanschaung, per il modo con cui intendono e contemplano la vita e per tante altre cose, razionali e irrazionali, che derivano dai misteri e dalle iniziazioni dell’arte, compresa la nostalgia, che, a dispetto dei politici «realisti», come dice Borges, è la relazione migliore che un uomo possa avere con il suo paese.

Ovvero quando la produzione letteraria esprime una specifica e particolare sensibilità locale, “una appartenenza totale alla cultura sarda, separata e distinta da quella italiana” diversa dunque e “irrimediabilmente altra”, come scrive il critico sardo Giuseppe Marci.

O ancora – come scrive Antonello Satta – quando “gli autori sappiano andare per il mondo con pistoccu in bertula, perché proprio in questo andare per il mondo, mostrano le stimmate dei sardi e, quale che sia lo scenario delle loro opere, vedono la vita alla sarda”.

Ma soprattutto quando la letteratura sarda ha, come ogni letteratura, i tratti universali della qualità estetica.

Fra questi, voglio ricordare in questa sede e non a caso, Gianfranco Pintore, recentemente scomparso e che altrimenti sarebbe stato qui a parlare proprio di Letteratura sarda. Lo voglio ricordare non solo perché lo ritengo uno dei più valenti e significativi romanzieri in Sardo, ma anche perché nella sua scrittura, ha preso a roncolate, liquidandoli, inveterati pregiudizi e luoghi comuni che ancora vengono circuitati ad arte, segnatamente dai nemici del Sardo. Ovvero che la Lingua sarda sia  lingua agro-pastorale, strumento di esclusivo recupero memoriale del passato, arcaica e inadatta a esprimere la modernità. Gianfranco Pintore come ha scritto recentemente  Vittorio Sella non est pro una limba sarda museificata, arressa a su tempus colatu, ma, senne limba sarda intro sa modernitate, de custu nos dat contu chin sas istorias suas, sos protagonistas, sas novitates, presentannelas a chi leghet operas de litteratura. Non cheriat una limba intro unu baule, prontu a s’interru.

Nei suoi romanzi infatti almanacca e descrive la modernità: parlando di rebellias telematicas,-ribellioni telematiche, cavos otticos-cavi ottici, carculadores -computer, enerzia atomica –energia nucleare (vedi Su Zogu) o di intrighi politici e istituzionali (vedi Morte de unu Presidente) o di questioni storiografiche, storiche e archeologiche (vedi Sa Losa de Osana).

Ma c’è di più. Soprattutto in Sa Losa de Osana Pintore  utilizza Sa Limba sarda comuna. A questo proposito e mi avvio alla conclusione – voglio ricordare un episodio successo a Sinnai in occasione della presentazione proprio di Sa Losa de Osana.  A un certo punto della discussione intervenne un nemico feroce della LSC, caricandola di tutti i misfatti della Sardegna e concludendo che si trattava di una lingua costruita a tavolino, artefatta e artificiosa, povera, burocratica e senza vita. Occorreva invece scrivere ciascuno nella propria parlata locale. Come aveva fatto Pintore nel romanzo Sa Losa de Osana. Di cui lui apprezzava il ritmo nonché la musicalità ed espressività del lessico. Il “nostro” critico non si era accorto che il romanzo era scritto proprio in quella lingua, la LSC appunto, contro cui aveva lanciato i suoi improperi e le sue contumelie!  

 

 

 

 

 

 

 

 

Lingu sarda e Letteraturaultima modifica: 2012-11-10T17:42:54+01:00da zicu1
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