QUELLA LINGUA
CHE SI LIBERA
CON LA MUSICA
di Francesco Casula
La nostra lingua materna, è insieme la prima lingua della poesia e della musica. Per il bambino che l’apprende direttamente dalla madre essa è soprattutto senso, suoni, musica: lingua di vocali. Dunque corporale e fisica e insieme aerea, leggera e impalpabile. E le vocali sono per il poeta l’anima della lingua, sono il nesso fra la lingua e il canto; fra la poesia, i numeri della musica, il ritmo e il ballo. Così, storicamente, i confini fra poesia e musica e danza, sono sempre stati labili e sfumati a tal punto che, soprattutto gli improvvisatori, i cantadores, non scrivevano poesie ma, direttamente, le cantavano.
Con quella lingua materna che riassume la fisionomia, il timbro, l’energia inventiva, la cultura, la civiltà peculiare del nostro popolo. Una lingua – il Sardo – che è insieme memoria e universo di saperi e di suoni. Che sottende –talvolta in modo nascosto e subliminale– senso e insieme oltresenso, musica, ritmo e ballo. Segnatamente il ballo tondo: momento magico in cui l’intera comunità, tott’umpare, si pesat a ballare, in cerchio.
Una lingua, i cui lemmi che la compongono, infatti, prima di essere un suono sono stati oggetti, oggetti che hanno creato una civiltà: storia, lavoro, tradizioni, letteratura, cultura. E la cultura è data dal battesimo dell’oggetto.
Quella lingua che è ancora libera, popolana, vera, indipendente, ricca: istinto e fantasia, passione e sentimento. A fronte delle lingue imperiali, vieppiù fredde, commerciali e burocratiche, liquide e gergali, invertebrate e povere, al limite dell’afasia: certo indossano cravatta e livrea ma rischiano di essere solo dei manichini.
Una lingua che –se finalmente insegnata come materia curriculare, con intelligenza, nelle Scuole di ogni ordine e grado- potrebbe servire persino per migliorare e favorire, soprattutto a fronte del nuovo “analfabetismo di ritorno“, vieppiù trionfante, a livello comunicativo e lessicale, lo “status linguistico” complessivo dei giovani. Che oggi risulta essere povero, banale e gergale: senza natura,senza storia, senza vita.
Pubblicato su Sardegna quotidiano del 10-12-2011