5. FRA ANTONIO MARIA DA ESTERZILI
Il fondatore della sacra rappresentazione in Sardegna (1664-1727)
Tutto ciò che sappiamo dell’autore lo ricaviamo da una annotazione contenuta nel registro dei frati Cappuccini della Provincia di Cagliari, conservato presso l’Archivio della Curia provinciale dei Cappuccini di Cagliari (vol. II, 1695-1802). Da essa risulta che era presente nel Convento di Sanluri (Cagliari) nel Novembre del 1668 e che morì all’età di 82 anni, il 26 Aprile 1727, dopo averne trascorso 57 di vita religiosa.
Dobbiamo dunque dedurre che nasce nel 1644 e a Esterzili, sulla base della consuetudine vigente soprattutto negli ordini religiosi, secondo i quali quando si entrava in una Congregazione, i novizi abbandonavano il nome secolare e se ne assumevano un altro di devozione, in onore di qualche santo, seguito generalmente dal nome del paese di origine, in questo caso appunto Esterzili.
Da alcuni accenni nelle cronache dell’Ordine dei Cappuccini si desume inoltre che trascorse un periodo della sua vita a Iglesias e che certamente visse anche a Cagliari. Non è improbabile tuttavia –scrive Sergio Bullegas uno dei massimi studiosi di Fra Antonio – che sia stata fatta sparire di proposito ogni traccia del suo cognome secolare e della sua biografia a causa di alcuni fatti imprecisati e incresciosi in cui fu coinvolto. Si parla infatti –nel Registro dei Cappuccini cui si è già fatto cenno- che egli si rese colpevole di seduzione di un crimine turpissimo.
Di qui la dimenticanza, per secoli, dell’Autore e delle sue opere. Solo nel secolo XIX si inizierà a parlare di lui, grazie a Giovanni Siotto Pintor, storico e letterato sardo, che ne scriverà nella sua Storia letteraria di Sardegna (vol.IV), ma tratto in inganno dal frontespizio del manoscritto, cadde in un grossolano errore affermando che si trattava di opere in spagnolo.
Nel frontespizio in alto del manoscritto –che si trova attualmente presso la Biblioteca universitaria di Cagliari- è infatti scritto in castigliano, con grossi caratteri: “Libro de Comedias escripto por Fray Antonio Maria de Estercyly sacerdote capuchino en Sellury 9bre a 18 año 1688” (Libro di Commedie scritto da Fra Antonio Maria di Esterzili, sacerdote cappuccino in Sanluri il 18 Novembre 1668).
In realtà le sue “Comedias” (Commedie, drammi) contenute nel manoscritto sono scritte in lingua sarda-campidanese con le didascalie in castigliano, la lingua dominante e ufficiale dell’epoca, in Sardegna.
Il manoscritto che conserviamo contiene: La Natività, La Passione, La Deposizione, più 550 versi, prevalentemente ottonari ed endecassillabi, strutturati in quartine e ottave, intitolati Versos que se rapresentan el Dia de la Resurrection (Versi che rappresentano il giorno della Resurrezione). Vi è inoltre un frammento, costituito dal Prologo e dall’incipit del primo atto di un’altra rappresentazione intitolata Comedia grande sobre la Assumption de la virgen Maria señora nuestra als çielos (Grande commedia sull’Assunzione di Maria vergine nostra Signora nei cieli).
A questo punto il manoscritto si interrompe –quasi fosse stato smembrato -scrive ancora Sergio Bullegas- e seguono Excomunicationes in diae coenae Domini, (Scomuniche nel giorno della cena del Signore) un compendio di disposizioni ecclesiastiche e canoniche, aggiunte probabilmente durante la rilegatura ottenuta con l’uso della pergamena.
Di tutte le opere di Fra Antonio Maria, contenute nel manoscritto, è stata edita solo la Passione, nel 1959.
Presentazione del testo [le prime due quartine e le prime due ottave tratte dal prologo del Primo Atto della Comedia de la Passion de nuestro Senor Christo di Fra Antonio M. di Esterzili, a cura di Raffaele G. Urciolo. Ed. Della Fondazione Il Nuraghe, Cagliari, 1959].
La Passione di Nostro Signore è il secondo dramma del manoscritto dell’Autore: esso consta di sei atti ed è composto da 3133 versi. Fu rappresentata a Cagliari nel 1675. Per quanto attiene alle fonti, la prima e più importante è quella dei Vangeli –cui vi è una sicura fedeltà di fondo- ma vi sono corpose influenze anche da parte dei dramamturghi ispanici (Gomez Manrique, Juan del Encina e Luca Fernandez); portoghesi (Gil Vincent, Antonio Ribeiro Chiado e Antonio Prestés) e peninsulari italiane che arrivavano attraverso i Pisani. Per quanto riguarda La Lamentazione di Maria, è influenzato da Iacopone da Todi.
La Passione –come tutte le altre Comedias contenute nel Manoscritto- è redatta in due lingue: in Castigliano per le didascalie e in Sardo –nella variante campidanese- per il testo. Un Sardo-campidanese che non differisce molto dal Sardo-meridionale dei nostri giorni.
Nel testo però c’è da precisare che spesso compaiono intrusioni in Sardo-logudorese, in Catalano e in Castigliano. Oltre a molti cultismi latini.
In Castigliano, la lingua ufficiale dell’epoca in Sardegna, fa parlare Erode, per indicare che questo è un personaggio superiore e dunque ricorre alla lingua considerata più “alta”.
Probabilmente invece, Frate Antonio Maria, quando passa dal Campidanese al Logudorese, si lascia sedurre dalla «moda» allora molto in voga, di seguire gli esempi letterari illustri –si pensi in modo particolare all’Araolla- che appunto avevano utilizzato il Logudorese. Ma c’è anche da sottolineare, che il paese dell’autore, Esterzili si trova nell’Ogliastra, in una zona confinante con le “Barbagie”, in cui il Campidanese inizia a mescolarsi e contaminarsi con il Logudorese.
PROLOGU
Morti morti morti,
morti naru e1 morti dura
mi pronosticat custa notti
terribili e tantu oscura2.
O’ notti traballosa o’ notti oscura2,
notti tempestosa notti de ierru3;
notti qui fais trèmiri de paura,
su xelu, terra, mari cun su inferru
notti chi isbandis sa luxi clara e pura,
e dogna4 gustu mandas in desterru;
notti chi cuddas luxis de su xelu
fais coberri de nieddu velu5.
O notti de prantu
Notti chi nos fais ispantari,
attònitus po ‘di pensari
e prenus tottu de ispantu;
Notti chi as fattu oscura6 sa bellesa
e condennas a tortu sa innocenzia7;
sa dignidadi rèstada vilipesa8
e reputàda in vanu sa sapienzia9;
àndada gettada per terra sa altesa
e fais occultari sa iscienzia10.
Su infinitu fais finitu, e temporali
su sempiternu, e morri su immortali.
[…]
Traduzione (di Sergio Bullegas, autore del testo “La Spagna, il teatro e la Sardegna, che si riporta sopra).
(Morte, morte morte/morte dico e morte dura/mi pronostica questa notte/tremenda e tanto oscura.)
(O notte travagliata o notte oscura,/notte tempestosa notte d’inverno;/notte che fai tremare di paura/cielo e terra e mare con l’inferno:/notte che scacci la luna chiara e pura,/e mandi in esilio ogni piacere;/notte che le belle luci del cielo/fai ricoprire di un oscuro velo.)
(O notte di pianto/notte che ci rendi sbigottiti,/solo al tuo pensiero siamo sconvolti/e pieni di terrore stupefatto;)
(O notte che hai oscurato la bellezza/e condanni a torto l’innocenza;/per te la dignità resta vilipesa,/superflua è reputata la sapienza;/ed è fatta crollare l’altezza,/Notte tu fai svanir la scienza./L’infinito rendi finito e temporale/il sempiterno, e fai morir l’immortale.)
ANALIZZARE
Nel primo atto –di cui si riportano due quartine e due ottave- il periodo ritmico del prologo è scandito da una quartina a rima alternata –ABAB- e da una a rima chiusa –ABBA- che si avvicendano a ottave dallo schema classico, i cui primi sei versi sono a rima alternata e gli ultimi due a rima baciata secondo lo schema ABABABCC. Generalmente il verso delle quartine è l’ottonario e quello delle ottave è l’endecasillabo: ma comunque metri e versi non sono rigidi e vengono piegati dall’Autore alle esigenze psicologiche richieste man mano dall’azione scenica.
E’ interessante notare che mentre le ottave sono usate in funzione descrittivo-narrativa per raccontare gli avvenimenti riguardanti la Passione di Cristo, le quartine invece sono utilizzate come momenti contemplativi-riflessivi, per così dire come “cantuccio” che l’Autore si riserva per commentare i fatti in modo da suscitare la commozione e la pietà negli spettatori ed agevolare in tal modo l’immedesimazione con i fatti stessi rappresentati, sì che la loro partecipazione collettiva alle sofferenze e ai tormenti patiti da Cristo, non si limiti ad essere solo teorica e spirituale, ma diventi fisico-psichica, tramutandosi in una scioccante esperienza esistenziale individuale.
Il tono risulta elevato e solenne: come si conviene del resto all’argomento religioso e sacro che tratta. Il ritmo è sincopato e martellante. Angosciosamente, funereamente martellante, pensiamo solo a quella “morti” ripetuta nella quartina per ben cinque volte in soli due versi: morti, morti, morti/morti naru, e morti dura (morte, morte, morte/morte, dico, e morte dura); o pensiamo ancora alla “notti”, ripetuta nella prima ottava per ben sette volte e associata all’oscurità, alla tempesta, all’inverno e all’inferno.
FLASH DI STORIA –CIVILTA’
-Il teatro sacro nella Sardegna del Seicento
La sacra rappresentazione in Europa si era sviluppata, grazie al revival religioso dopo il Mille, a partire dall’XI e XII secolo. In Sardegna –scrive Sergio Bullegas, studioso del fenomeno- il teatro, arriva come un genere di riporto dalle altre regioni italiane e dall’Europa, dove era del tutto tramontata, fatta eccezione per la Spagna.
Essa si inserisce in un ambiente e in un contesto ricco di tradizioni e di costumi rituali arcaici, che dunque si incrociano –e qualche volta si scontrano- con gli influssi teatrali spagnoli, per di più nell’ambito di una Controriforma fortemente vissuta.
Soprattutto si inserisce in modo singolare nell’ambito delle feste religiose, ancora impregnate di un abbondante sostrato pagano risalente alla civiltà punica-romana e persino nuragica, che assumono sempre maggiore importanza nella vita dei Sardi.
Si pensi, per esempio, a quanto scrive Sigismondo Arquer nel 1550 nella sua Sardiniae brevis historia et descriptio: “Quando i contadini celebrano qualche festa, dopo la messa, per tutto il resto della giornata e della notte ballano –uomini e donne- dentro la Chiesa del santo, cantando canzoni profane”.
O si pensi che ancora nel 1641 il Vescovo di Alghero si lamentava perché :” Nelle chiese in cui si doveva celebrare la festa, al posto delle preghiere e del rispetto dovuto, i fedeli mettevano in atto danze, scherzi e spettacoli profani” .
Antonio Maria da Esterzili, con le sue Comedias è l’autore che offre il maggior contributo non solo alla drammaturgia isolana, sia sacra che religiosa, con uno stile e un tono elevati ma anche insieme alla lingua sarda.
Lettura [Testo con traduzione tratto da Il teatro in Sardegna fra Cinque e Seicento, Sergio Bullegas, Edizioni EDES, Cagliari 1976, pag.136-137]
Non bollu prus conçolu de su prantu
cun prantu apa a’ passari custa dij
populu miu caru nara mi
si in su mundu ses bidu tali ispantu
Non fusti tui malu fillu miu
pa daridi una morti tanti dura
o maladicha mia sorti e bintura
biendudi in su modu qui imo ti biu.
Portademi una luxi pro mirari
custu qui fuit biancu prus que lillu
ca apenas iddu conoxu si mest fillu
po qui certa e segura potza istari.
Ahora S. Juan lleva una candela
encendida y la Virgen reconoce al
Chrisro y dize
Fillu su prus formosu y agraziadu
su prus bellu de cantu inda naxidu
apenas de mamma tua ses conoxidu
cas ses prenu se sanguini e istiguradu.
Biancu e’ rubicundu fusti tui
Brundu qui oru fini fusti tui certu
Su corpus tanti bellu hoy es cobertu
De una tenebrosa y obscura nuy.
[…]
Traduzione
Non voglio più consolazione dal pianto:
con pianto passerò questo giorno;
popolo mio caro dimmi
se nel mondo si è vista tale mostruosità.
Non fosti tu cattivo figlio mio,
per darti una morte tanto dura.
O sfortunata mia sorte e ventura
Vedendoti nello stato in cui ora ti vedo.
Portatemi una luce per mirare
Questi che fu bianco più che giglio
che appena lo conosco se mi è figlio
perché certa e sicura possa stare.
Ora San Giovanni solleva una candela
accesa e la Vergine riconosce Cristo e dice
Figlio il più formoso e aggraziato
il più bello di quanti sono nati;
appena da mamma tu sei conosciuto
perché sei pieno di sangue e sfigurato.
Bianco e vermiglio fosti tu,
biondo che oro fino fosti tu certo
il corpo tanto bello oggi è coperto
da una tenebrosa e oscura nuvola.
[…]