LA DECRESCITA FELICE E LA SARDEGNA

 

 

 

I SARDI E LA CRISI

 

LA DECRESCITA

 

PUO’ PERSINO

 

ESSERE “FELICE”

 

di Francesco Casula

 

Quotidianamente, su tutti i media, politici di destra sinistra e centro, economisti di ogni risma zenia e colore, ossessivamente ci ripetono la giaculatoria della “crescita”. Senza la quale non sarebbe possibile nessuna uscita dalla crisi che attanaglia l’Italia e non solo. Pena il fallimento. A tentare di liquidare tale mania, ci ha pensato nei giorni scorsi a Cagliari, al “Festival Marina Cafe noir”, il  filosofo e sociologo francese Serge Latouche. Ma quale crescita –ha sostenuto- quello che occorre, per uscire dalla crisi, è la “Decrescita felice”. Di cui non a caso è il principale teorico. Non crescerà il PIL ma aumenterà il FIL (Felicità interna lorda). Semplici provocazioni di un intellettuale eretico? Può darsi. Certo che è difficile non prendere atto del fallimento delle magnifiche e progressive sorti dello “sviluppo” e della produttività: nella duplice versione del socialismo reale e del capitalismo. “Una parola tossica” – ha definito Latouche lo sviluppo. Alla base delle guerre, della fame, dello sconvolgimento planetario del clima (con l’iper produzione di CO2), della devastazione della natura, delle disuguaglianze economiche e sociali vieppiù accentuate negli ultimi decenni. Anche la Sardegna è stata vittima dello sviluppismo, con un intero ciclo fatto di promesse e di illusioni programmatorie, industrialiste e petrolchimiche, che ci ha consegnato un cimitero di ruderi industriali ma soprattutto disoccupazione e malessere. Uno sviluppo che ha devastato e depauperato il territorio: la risorsa più pregiata che l’Isola detenga. Che ha degradato e inquinato l’ambiente e il mare: pensiamo solo a Sarrok e a Porto Torres, con danni incalcolabili per la pesca. Che ha sconvolto gli equilibri e le vocazioni naturali. Che ha distrutto il tessuto economico tradizionale e quel minimo di industria e di imprenditorialità locale. Che ha attentato alla cultura e all’identità nazionale dei Sardi, tentando di eliminare le diversità linguistiche, culturali, storiche, magari con il pretesto di combattere il banditismo: è il caso, soprattutto, di Ottana. La narrazione del filosofo francese ci riguarda dunque da vicino. Per questo occorre cambiare radicalmente rotta. Magari iniziando a praticare scampoli del programma latouchiano: l’autoproduzione e lo scambio comunitario, conviviale e quindi non mercantile, per esempio.

 

Pubblicato su Sardegna quotidiano del 21-9-2011

 

 

 

LA DECRESCITA FELICE E LA SARDEGNAultima modifica: 2011-09-21T10:37:17+02:00da zicu1
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3 pensieri su “LA DECRESCITA FELICE E LA SARDEGNA

  1. Le “promesse e di illusioni programmatorie, industrialiste e petrolchimiche, che ci ha consegnato un cimitero di ruderi industriali ma soprattutto disoccupazione e malessere” vengono tutte dall’esterno. Lo sviluppo dev’essere endogeno e autopropulsivo, come ci insegnano i distretti industriali della Toscana e del Nord-Est.

  2. Sono d’accordo. Occorre però aggiungere che da parte della classe politica (e sindacale) locale c’è stata sempre subalternità , spesso complicità e talvolta pieno consenso.

  3. Preg.mo Prof.Casula,
    seguo da tempo Le sue importanti e qualificate riflessioni, che io personalmente codifico in messaggi attinenti alla Sarditudine.
    Sarei, data la brevità del mezzo in uso,perchè fosse avviato da persona di indiscussa moralità e prestigio quale Ella è, una discussione e una sede di confronto capace di elaborare e unificare il magmatico e ricco disordine attorno al futuro di questa nostra amata Isola di Sardegna e del suo sacrosanto diritto alla decrescita autodeterminata.

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