25 aprile

Dopo le polemiche, aboliamo il 25 Aprile?

 

di Francesco Casula

 

Da più parti, a fronte delle nuove polemiche e divisioni esplose in occasione del 25 Aprile, si è proposto di abolirne la ricorrenza. Il Fascimo è morto –è stato scritto- e, oramai consegnato al passato remoto, serve solo all’antifascismo per vivere di rendita, parassitariamente. Penso il contrario: la festa della Liberazione –spesso ridotta a puro rito rievocativo- deve essere rivitalizzata, per diventare momento e occasione di studio e di discussione sul nostro passato, che non possiamo né rimuovere, né recidere né dimenticare. Dobbiamo anzi disseppellirlo: non per riproporre vecchie divisioni e steccati ormai anacronistici e superati ma per creare concordia e unità: la “pacificazione” insomma. Nella chiarezza però. Per i morti, per tutti i morti non possiamo che nutrire e riversare tutta intera la nostra pietas: ma per favore senza metter sullo stesso piano oppressi e oppressori: partigiani e repubblichini, tanto per intenderci. Ovvero chi si batteva per la libertà e chi invece ce  la voleva togliere. Tener viva la memoria e la verità significa ricordare a chi lo dimentica e a chi non l’ha mai saputo che la Repubblica sociale italiana fu uno stato fondato sulla tortura, sulla persecuzione razziale e politica, sulla distruzione fisica degli avversari, sulla delazione: né sessantatre né cento anni bastano a cancellare tutto questo.  Soprattutto però disseppelliamo e valorizziamo il carattere plurale dell’antifascismo: cui parteciparono certo Comunisti e Socialisti ma anche i cattolici, i liberali di Gobetti, l’intellettuale lucido e brillante, morto a Parigi per i postumi di un’aggressione fascista a colpi di bastone; gli azionisti dei  fratelli Nello e Carlo Rosselli, gli eroi della libertà, ugualmente massacrati da sicari di Mussolini in Francia il 9 Giugno 1937. Ma in modo particolare disseppelliamo e studiamo gli eroi sardi della libertà e dell’antifascismo: da Gramsci a Lussu, da Bellieni a Puggioni, a Efisio Melis, il primo martire sardista antifascista ferito a morte da un fascista a cavallo, che gli conficca nel petto la lancia del gagliardetto, davanti al quale il giovane di Monserrato si era rifiutato di togliersi il capello. O questa storia dobbiamo dimenticarla, magari per giustificare e avallare una politica incanaglita in un antifascismo senza contenuti, unanimistico e appiattito sul terreno patriottardo e sul canto di “Fratelli d’Italia”? (Pubblicato su Il Sardegna del 24-5-08)

25 aprileultima modifica: 2008-07-09T14:30:00+02:00da zicu1
Reposta per primo quest’articolo