SI AL REFERENDUM SUL NUCLEARE

Contra a su nucleare

di Francesco Casula

La grande, pacifica e colorata manifestazione tenutasi a Cagliari il 26 Marzo scorso e organizzata dal Comitato “Vota sì contro il nucleare”  è un ottimo viatico

per la vittoria nel referendum consultivo regionale del 14-15 Maggio prossimi. Che a sua volta potrebbe essere di buon auspicio per il successo del referendum in Italia di Giugno.

Nella sua battaglia antinucleare il popolo sardo è in buona compagnia: a livello italiano, europeo e mondiale. Insieme a Jeremy Rifkin che ha dichiarato:”dopo Fukushima il nucleare è morto per smpre”. Ricordo che l’intellettuale americano è presidente della Foundation on Economic Trends di Waschington, autore di importanti saggi economici e, fra l’altro, di “Economia all’idrogeno”.Per dire che non si tratta di un qualche esteta che rifiuta il nucleare per rifugiarsi in qualche grotta preistorica.

Insieme alla Merkel, la leader tedesca che ha deciso di fuoruscire definitivamente dal nucleare: e certamente non per riportare la Germania alla candela stearica.

Insieme al premio Nobel per la medicina Rubbia che continua a porre inquietanti interrogativi sul nucleare, specie in merito alla sicurezza:”Come smaltire le scorie? Se non si riesce a risolvere il problema della costruzione di un inceneritore per bruciare l’immondizia, come riusciremo a sistemare le grandissime quantità di scorie nucleari che nessuno al mondo sa come smaltire? Che sono estremamente tossiche e destinate attive per migliaia di anni?”.

 La presenza di una centrale nucleare in Sardegna, che peraltro non trova alcuna giustificazione energetica essendo già autosufficiente, entrerebbe in rotta di collisione con qualunque progetto di sviluppo ecosostenibile dell’Isola, basato sulla valorizzazione delle nostre risorse naturali: ad iniziare da quelle energetiche.

 Dopo essere stata sito di industrie nere e inquinanti, di basi e servitù, di poligoni per esercitazioni degli eserciti di mezzo mondo, – anche per quello del dittatore e assassino libico- l’Isola non può sopportare un’altra e più pericolosa servitù con la presenza del nuovo e devastante “Ordigno”. Ben 24.000 ettari del demanio militare ( su 40.000 su scala nazionale,  ovvero ben il 60%) pesano sulla groppa della Sardegna. Abbiamo già dato. Ora basta. Dobbiamo riprenderci la Sovranità sul nostro territorio, premessa indispensabile per l’Autodeterminazione di un popolo, di una Nazione, com’è quella sarda. E’ questa la partita vera che si gioca nel referendum di Maggio.

 

 

 

 

Limba

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La posta in gioco del Referendum sulla Statutaria

 

 

di Francesco Casula

 

La posta in gioco del referendum del 21 Ottobre è alta: attiene alle forme della democrazia rappresentativa e non solo.

Allo svuotamento delle autonomie locali, alla riduzione dei consiglieri regionali a figuranti e del Consiglio regionale ad ancilla del Presidente –sottoposto al ricatto di scioglimento se non obbedisce ai suoi comandi- si unisce nella Statutaria l’attacco diretto alle forme di protagonismo popolare e di democrazia di base : basti pensare a questo proposito al fatto che il numero di firme per la sottoscrizione di un referendum passa da 10 a 15 mila.

Al di là comunque dei singoli punti, ciò che caratterizza la complessiva filosofia della Statutaria è il privilegiamento del decisionismo, la concentrazione e la verticalizzazione del potere, sacrificando ogni meccanismo e sede di rappresentanza e di controllo, e dunque da una parte i meccanismi elettorali coerenti con la citata verticalizzazione; dall’altra la personalizzazione della lotta politica con tutte le distorsioni di immagine e di comunicazione di massa.

          Da questo punto di vista il NO al referendum significa mettere in discussione la concentrazione del potere del leader, lo scivolamento oligarchico della rappresentanza, la divaricazione abissale fra i cittadini e il Palazzo, la commistione del potere castale con quello pubblico, il deficit di rappresentatività del corpo legislativo. E nel contempo significa affermare la voglia di partecipazione e l’autorganizzazione sociale.

 

(Pubblicato il 17 10-07 su Il Sardegna)

 

Limba sarda: novas bellas!

Limba sarda: novas bellas!

 

di Francesco Casula

 

Novas bellas pro sa Sardinna intrea ma mescamente pro sa cultura e sa limba e duncas pro sa creschida de s’identidade etno-natzionale de totu sos Sardos: la Giunta regionale ha deliberato di adottare un modello di lingua scritta chiamata “Limba sarda comuna” per gli usi ufficiali dell’Amministrazione regionale. Si tratta di una scelta coraggiosa il cui merito va soprattutto al Presidente Soru e all’Assessore Pilia che rompendo gli indugi e superando dubbi e opposizioni hanno imboccato la strada dell’ufficializzazione concreta della Lingua sarda scegliendo uno standard linguistico.

 

Come nel passato anche recente –penso alle polemiche contro la proposta di Limba sarda unificata- anche questa volta ci saranno i fusionisti, gli integrazionisti ma specie gli ascari che grideranno allo scandalo: si tratta di ragli che non incantano ormai più nessuno, di zaulos de canes de isterzu e di appeddos scarrabecciaos, movidos dae sa tirria chi faghent solu stragazzu e carraxu; allegos scoscimingiaus chi non spreviant nemos ma allocchiant sa zente.

 

Come nel passato –qualche eco l’abbiamo già sentita in questi giorni- qualcuno parlerà di lingua costruita a tavolino, di esperanto, di affossamento della ricchezza e varietà linguistica sarda. Si tratta di obiezioni che non reggono, di preoccupazioni fuori luogo. Nelle Norme della “Limba sarda comuna” si afferma con chiarezza che “le forme adottate non sono nuove creazioni, frutto di invenzione, ma forme reali, riscontrabili nell’uso orale. Ne risulta una varietà linguistica con elementi di naturalità, punto di mediazione ma non frutto di una media artificiale…”.  Di qui un esempio molto calzante e convincente: “Tra un esito limba e un altro lingua non si è trattato di inventare un ipotetico ibrido (come sarebbe lingba) ma di scegliere un risultato linguisticamente più identitario: limba”.

 

Lo standard scelto dunque –da utilizzarsi in via sperimentale per la redazione dei documenti della Regione sarda e rivolto a tutti i sardi – “non è una nuova lingua che si sostituisce alle varietà parlate, ma semplicemente una norma scritta di riferimento ad esse complementare che propone una mediazione fra le differenze che costituiscono la irrinunciabile ricchezza e multiformità della Lingua sarda”.

 

Ricchezza e multiformità che proprio in virtù dello standard non solo a mio parere non saranno penalizzate ma verranno esaltate e rinvigorite: senza una lingua ufficiale scritta infatti il rischio reale è che il Sardo nel giro di qualche decennio muoia o venga marginalizzato e ghettizzato nel semplice folclore e nelle feste paesane.

 

Certo occorre avere chiara la consapevolezza che si tratta solo di un primo e parziale passo verso il Bilinguismo perfetto: ma in questo caso non è il quantum che conta ma la direzione di marcia. E quella indicata da Soru e Pilia è quella giusta.

 

Perché lo standard, oggi previsto solo per i documenti della Regione sarda, venga utilizzato ufficialmente nei mass-media, nella pubblicità, in tutta la pubblica amministrazione ma soprattutto nella Scuola e nell’insegnamento, probabilmente ci vorranno altre battaglie.

 

Il dado comunque è tratto e indietro non si torna: il medioevo della proibizione e della censura della Lingua sarda dobbiamo considerarlo definitivamente consegnato al passato, specie dopo la decisione fausta della Giunta regionale e le posizioni a favore espresse fin’ora oltre che dal Partito sardo, dai Ds e da Progetto Sardegna. A cui – son sicuro- ne seguiranno molte altre. Anche da parte di Partiti contrari all’attuale maggioranza.

 

 

 

La crisi della scuola sarda e l’insegnamento della lingua

La crisi della scuola sarda e l’insegnamento de sa limba. di Francesco Casula 

De evidentibus non est disputandum: recita così un antico adagio latino, che a buon diritto può attagliarsi alla crisi della scuola in Sardegna, in classifica ultima in Italia secondo l’Invalsi. Certo si potrà anche discutere sui parametri utilizzati dall’Istituto nazionale di valutazione nello stilare la graduatoria ma credo che comunque la sostanza non cambi molto: la scuola sarda è sicuramente gravemente “malata”.

 

Si è parlato, per colmare lacune e carenze, di porre mano finalmente alla risoluzione degli annosi problemi strutturali, che storicamente la caratterizzano: carenza e/o fatiscenza degli edifici, insufficienza dei laboratori, mancanza di mense e di adeguati trasporti. Certo, ciò è la condizione necessaria per farla  decollare ma ho l’impressione che non sia assolutamente sufficiente: quello che occorre aggredire e cambiare è la catastrofica situazione didattica.

 

La scuola sarda è una semplice succursale della scuola italiana: metodi e contenuti sono omologhi. Direi di più: la scuola italiana nel suo complesso è rivolta a un alunno che non c’è: tutt’al più a uno studente metropolitano, nordista e maschio. Non a un sardo. E’ una scuola che con i contesti sociali, ambientali, culturali e linguistici degli studenti non ha niente a che fare. Nella scuola la Sardegna non c’è: è assente nei programmi, nelle discipline, nei libri di testo. Si studia Orazio Coclite, Muzio Scevola e Servio Tullio: fantasie con cui Tito Livio intende esaltare e mitizzare Roma. Non si studia invece –perché lo storico romano non poteva scriverlo- che i Romani fondevano i bronzetti nuragici per modellare pugnali e corazze; per chiodare giunti metallici nelle volte dei templi; per corazzare i rostri delle navi da guerra.Nella scuola si studia qualche decina di Piramidi d’Egitto, vere e proprie tombe di cadaveri di faraoni divinizzati, erette da centinaia di migliaia di schiavi, sotto la frusta delle guardie;ma non si studiano le migliaia di nuraghi, suggestivi monumenti alla libertà, eretti da migliaia comunità nuragiche indipendenti e federate fra loro.

 

Si studia Napoleone, “piccolo e magro, resistentissimo alla fatica!” ma non si spende una sola parola per ricordare che il tiranno corso, venuto in Sardegna, bombardò La Maddalena e sconfitto da Domenico Millelire, con la coda fra le gambe dovette ritirarsi e abbandonare “l’impresa”.

 

Si studia insomma l’Italia “dell’elmo di Scipio”, e “dalle amate sponde” ma la Sardegna , con le sue vicissitudini storiche, le dominazioni, la sua civiltà e i suoi tesori ambientali, culturali  e artistici è del tutto assente: un diplomato sardo e spesso persino un laureato, esce dalla scuola senza sapere nulla dell’architettura nuragica, della Carta De Logu, di Salvatore Satta e della Lingua sarda. La Regione sarda per più di 50 anni –benchè lo Statuto speciale lo prevedesse esplicitamente nell’art. 5, comma a- non ha mai voluto legiferare sul versante scolastico. Oggi la sua azione non è più rinviabile per la drammaticità dello status della scuola ma anche perché più di ieri ne ha la potestà, specie in seguito alla normativa sull’Autonomia scolastica e alla riforma del titolo V della Costituzione. Essa ha cioè oggi  il compito di legiferare, definendo gli indirizzi e i programmi per quanto attiene all’insegnamento della lingua e della cultura sarda, segnatamente della storia. Oltre che la potestà ha il consenso della stragrande maggioranza dei cittadini sardi come è emerso qualche giorno fa a Paulilatino, da una indagine voluta dalla Giunta Regionale e svolta dal Dipartimento universitario di Ricerche economiche e sociali di Cagliari e da quello di Scienza dei linguaggi dell’Ateneo di Sassari: il 68,4% degli abitanti dell’Isola dichiara di conoscere e parlare una qualche varietà della lingua sarda; una percentuale ancora più alta, il 78,6%, si dichiara d’accordo sull’insegnamento del Sardo a scuola; addirittura l’81,9%  vorrebbe che si insegnasse il Sardo insieme all’Italiano e a una lingua straniera.

 

Il Presidente Soru ha assicurato che i progetti della Regione saranno tesi a introdurre in maniera ufficiale la lingua sarda nelle scuole, attribuendo crediti formativi e punteggi a chi dimostrerà di saperne fare uso. Bene: che la sua Giunta passi finalmente dalle parole ai fatti. Altrimenti i numerosi applausi che centinaia di docenti e amministratori gli hanno tributato a Paulilatino, potrebbero trasformarsi in amari e sonori fischi.

 

 

(Pubblicato sull’Unione Sarda del 13 Maggio 2007)