Aboliamo le province?

Aboliamo le province? 

 

di Francesco Casula  

 

Il dibattito sui costi della politica riaccende la polemica su una vecchia e “vexata quaestio”: l’abolizione delle province. L’occasione è stata offerta -fra l’altro- dai dati elettorali del 27-28 maggio scorso, in cui alle provinciali ha votato il 58,8% dei cittadini interessati, il 6% in meno rispetto al 64% di cinque anni fa. Segno di grande disaffezione per un Ente, considerato inutile. E dunque da eliminare. In questa direzione si sono espressi oltre a Montezemolo, autorevoli esponenti sia del centro-destra: Fini lo ha detto a chiare lettere nella trasmissione televisiva di Ballarò il 28 Maggio scorso; sia del centro-sinistra: da Di Pietro a Mussi, da Salvi ad Amato, che ha opportunamente avvertito: ”fatevi pure le vostre province ma lo stato non vi aprirà più alcun organo periferico”. Ovvero nuove prefetture, questure, intendenze di finanza, direzioni provinciali del tesoro, ragionerie provinciali dello stato etc. In Sardegna, da mesi il Presidente Soru ha fatto capire l’intenzione di liquidare le Province . La partitocrazia sarda ha reagito stizzita e scomposta : e c’è da comprenderla. Le province, vero e proprio cascame dello stato ottocentesco, centralista e accentrato, oggi sono utili solo per i “mestieranti della politica”, come trampolino di lancio per più magnifiche e lucrose sorti o per la “sistemazione” degli stessi, una volta fallito l’obiettivo tanto desiderato del Consiglio regionale, del Parlamento o di altri Enti più appetibili. Il nome stesso di “provincia” evoca fantasmi inquietanti per i Sardi e per la storia della Sardegna: la fine della libertà e dell’indipendenza nuragica e il passaggio dell’Isola sotto il dominio romano; lo sfruttamento, i soprusi e le angherie dei Governatori, consoli o pretori. Uno per tutti, il famigerato M. Emilio Scauro, autore di tre gravissimi reati: omicidio, violenza e concussione, ma assolto grazie a Cicerone che, non avendo argomenti, gettò semplicemente fango sui Sardi e la Sardegna.  Nate nella forma attuale con lo Stato unitario, sul modello della Francia napoleonica, le province –inizialmente erano 59, ma oggi si sono moltiplicate all’inverosimile e la Sardegna le ha recentemente raddoppiate- dovevano servire per amministrare e soprattutto controllare il Paese, segnatamente attraverso la figura del prefetto di nomina regia, in rappresentanza del potere centrale. Si trattava dunque, come poi sosterrà Lussu in un Saggio sul Federalismo pubblicato nel 1933, “di superficiali e forzate costruzioni burocratiche”, “di centri fittizi e corruttori di vita locale”, “di equivoche strutture politiche, fatte per mascherare una armatura governativa e poliziesca che non dava alla rappresentanza popolare locale altro diritto che quello di occuparsi dei manicomi e di strade di secondo ordine”. Si dirà che il pensiero di Lussu su questo versante è ormai datato: almeno per quanto attiene alle competenze della provincia. Si dirà inoltre che un Ente intermedio fra Regione e Comuni occorrerà pur che ci sia, altrimenti fra loro si creerebbe un iato troppo profondo. Ma soprattutto si sosterrà –un po’ demagogicamente- che le Province rispondono al bisogno di decentramento, di autonomia, di autogoverno del territorio. Certo, un Ente intermedio fra la Regione e i Comuni è necessario: ma potrebbe  essere semplicemente composto dai sindaci della zona compresa nel territorio delle attuali province, come sembra ipotizzare Soru. O meglio, da liberi consorzi di Comuni, corrispondenti alle regioni storiche sarde, come già sosteneva Lussu. Quelle regioni che sono state smembrate, divise e accorpate artificiosamente in province senza identità, senza omogeneità né economiche né culturali, ma solo in base agli interessi –spesso puramente elettoralistici- degli oligarchi, piccoli e grandi, dei partiti. Quello che occorre evitare e combattere è la costruzione e la moltiplicazione artificiosa e burocratica di strutture dispendiose e autoreferenziali, che servono solo per alimentare un ceto politico, con la proliferazione di presidenti, vicepresidenti, assessori, consiglieri, consulenti, personale vario. Che serve solo per aumentare ulteriormente gli altissimi costi della politica di cui parlavo all’inizio e in cui l’Italia detiene il primato assoluto. Con una spesa totale che supera quella di Francia, Spagna, Germania messe insieme. E che serve per mantenere, oleare e ingrassare quel gigantesco e vorace esercito di “politici” –o che vivono comunque della politica- che ormai sfiora il milione di persone.   (Articolo ancora non pubblicato- dovrebbe uscire sull’Unione Sarda)    

Aboliamo le province?ultima modifica: 2007-07-27T19:35:00+02:00da zicu1
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