Il grande inganno dell’Unità d’Italia

Il Professor  Francesco Cesare Casula, il più grande storico medievista sardo (di cui riporto un suo articolo apparso sul sito di Gianfranco Pintore il 22 Agosto 2009) a proposito di un Convegno tenutosi a Cagliari in questi giorni ,mi ha mandato due messaggi che riporto testualmente dopo l’articolo e che condivido totalmente.

 

Il grande inganno dell’Unità d’Italia

Sono stanco, non ho più parole: da oltre vent’anni vado dicendo le stesse cose, ampiamente dimostrabili, ma nessuno mi sta a sentire, perché noiose per menti pigre o perché non combaciano con ciò che si è appreso e si apprende dalla scuola, dai giornali, dai libri, dalla radio, dalla televisione, da tutto il sentimento nazionale. Perciò, vengo snobbato. Mi vien voglia di gridare: basta. Se ne avete vaghezza, andate a leggere “La terza via della storia. Il caso Italia” e, se lo capite, portatelo avanti – voi, e non più io – nelle conseguenze politiche, che sono dirompenti (aprono la strada ad un’autonomia speciale ed unica o, addirittura, potrebbero portare alla lotta per un indipendentismo sovrano, se disattesi nei nostri diritti).
Ma non ci credo. Noi sardi non abbiamo palle: siamo nati sottomessi e sottomessi moriremo.
Comunque, oggi, per l’affetto e la stima che ho nei confronti di Gianfranco Pintore, il quale unico intellettuale molto di me ha recepito e incanalato nel filone letterario, provo a ridire in parole povere la storia: la nostra storia sardo-italiana, non come materia scolastica ma come materia filosofica, cioè come modo di pensare.
Se si prende un atlante si vedrà che tutto il mondo è frazionato in Stati, con tanto di confini, popolazioni dentro i confini, rispondenti ognuna a leggi proprie. Lo Stato è un concetto inventato dall’uomo fin dalla sua nascita, fin dal periodo delle caverne, e condiziona tutta la sua vita. Eppure, nessuno storico ne fa la storia. Se si immagina uno Stato come un’automobile, gli storici fanno la storia del guidatore, ovverosia dei governanti statali, siano essi re o principi o presidenti, ecc.; oppure fanno la storia dei passeggeri, ovverosia del popolo, con tutte le guerre, le rivoluzioni, gli affanni, le gioie e le miserie da esso patite. Nessuno pensa però, a fare la storia dell’auto, ovverosia dello Stato, senza il quale non ci sarebbe né il guidatore né i ci sarebbero i passeggeri.
Rapportate questo banale esempio al “caso Italia/Sardegna”. Qual è la Storia, la nascita e lo sviluppo dello Stato oggi chiamato Repubblica Italiana? Il Diritto parla chiaro: «L’attuale Stato italiano non è altro che l’antico Regno di Sardegna ampliato nei suoi confini». Quindi, non c’è mai stata un’unità d’Italia ma uno Stato, chiamato Regno di Sardegna, nato in Sardegna, a Cagliari-Bonaria il 19 giugno 1324, che per annessione ha incamerato dal 1848 al 1861 tutti gli Stati della Penisola italiana (non si deve credere alle mie parole ma si deve credere al Diritto che specifica bene cosa vuol dire unità fra Stati e cosa vuol dire annessione di Stati).
Il 17 marzo 1961, visto che l’automobile si era ingrandita enormemente inglobando le ecumeni delle fagocitate automobili peninsulari, il guidatore dello Stato sardo (cioè Vittorio Emanuele II di Sardegna, imbeccato dal Cavour) pensò bene di cambiargli il nome, da Regno di Sardegna a Regno d’Italia.
Ed è così che, col cambio del nome allo Stato la domenica mattina del 17 marzo 1861, ha inizio il “Grande Inganno” che coinvolge ed inficia non solo la storia nazionale ma tutto il modo di pensare della società oggi detta italiana.
In verità, il cambio del nome di uno Stato non è una cosa arbitraria, incostituzionale. Sia il nome sia il titolo sia la simbologia statuale appartengono alla categoria degli “attributi di personalità” dello Stato, i quali possono essere modificati o addirittura aboliti senza che lo Stato ne soffra o cambi la propria condizione giuridica. Nel corso della storia ciò è avvenuto tante volte in tutto il mondo: nel 1302 il Regno di Sicilia cambiò il nome in Regno di Trinacria, nel 1789 il Regno di Francia cambiò il titolo e il nome in Repubblica Francese, dal 1939 al 1947 la Spagna non ebbe né titolo né nome, chiamandosi semplicemente El Estado.
Il cambio del nome nel 1861, da Regno di Sardegna in Regno d’Italia fu, probabilmente, una cosa giusta e sensata, in quanto la maggior parte della ecumène statale era ora rappresentata dalla penisola italiana.
Ciò che, invece, fu e resta ingiusto e inaccettabile è che col cambio del nome si sia cambiata anche la storia istituzionale, politica e sociale dello Stato, e che con esso cambio si sia introdotto nella società l’inganno che il binomio Italia-Penisola voglia dire Italia-Stato, ed il mito che tutto ciò che era dello Stivale prima del 1861 faccia parte da sempre di un’unica vicenda territoriale, di un unico idem sentire, di un’unica cittadinanza e nazionalità che nella sostanza tradisce il reale percorso statuale oggi detto italiano.
Da quella mattina del 17 marzo 1861, infatti, la storia dello Stato non è più la storia del Regno di Sardegna, iniziato nel 1324 e pregnato per 537 anni dal sangue e dal sudore dei sardi isolani e continentali ma la storia della penisola italiana, dagli etruschi ai romani, dai longobardi ai normanni, dai veneziani, toscani, napoletani ai piemontesi. Per cui, a scuola, dove si plasma e s’indirizza la società del domani, s’insegna la battaglia di Legnano o la disfida di Barletta affatto ininfluenti nella formazione dello Stato, e non la battaglia di Lutocisterna o la battaglia di Sanluri senza le quali, oggi, non ci sarebbe quell’entità per la quale tutti noi, insulari e peninsulari, lavoriamo, preghiamo, combattiamo e paghiamo le tasse.
Tutto quello che ho detto è dimostrabilissimo attraverso fonti archivistiche, cartografiche, iconografiche, ecc. Ma a nessuno importa. Non importa ai sardi e non importa ai connazionali continentali, perché ho sollecitato il Sindaco di Cagliari a far votare in consiglio la dichiarazione della città come prima capitale dello Stato oggi detto italiano, senza risultato; ha invitato la Regione a dichiarare la Sardegna come matrice dello Stato sardo-italiano, senza averne risposta; ho chiesto ai deputati sardi, di Destra e di Sinistra, di presentare una mozione al Parlamento bicamerale nazionale (hanno risposto solo Delogu e Fantola), senza ottenerne alcun riscontro. Risultato: noi che rappresentiamo la nascita, l’infanzia e la giovinezza dello Stato non siamo nemmeno inseriti nelle celebrazioni del centocinquantenario della cosiddetta Unità d’Italia. In compenso, viviamo contenti fra campanacci, coltelli, cestini e tappeti. Viva la Sardegna.

 

 

Primo messaggio

Dove c’è il carnefice c’è la compiacenza della vittima. Ho denunciato personalmente a Cappellacci e alla Baire il pericolo di pagare, coi soldi pubblici, una decina di tromboni continentali che ci avrebbero preso a calci nei denti. A chiamarli è stato Aldo Accardo, unico sardo (?), il quale si è riservato lo spazio al T Hotel per parlare della «Sardegna, appendice incerta dell’Italia nel Risorgimento» (!). Naturalmente, nessuno è intervenuto a fermare questi stronzi. Un mio caro amico, da poco scomparso, soleva dirmi: «I peggiori nemici dei sardi sono i sardi».

 

Secondo messaggio

Come si può vedere dal programma del convegno pagato  dalla Regione, il ruolo della Sardegna nel Risorgimento compare solo come terra marginale  nel panorama italiano. Invece, tutte le fonti storiche (archivistiche, iconografiche, giuridiche) dicono che l’Unità d’Italia fu fatta dal Regno di Sardegna nato a Cagliari-Bonaria il 19 giugno 1324 e pregnato per 537 anni dal sangue e dal sudore di noi sardi. Dietro mia protesta, Aldo Accardo, organizzatore del convegno, ha cambiato il titolo del suo intervento (che inizialmante era “Sardegna, appendice incerta dell’Italia nel Risorgimento”) addolcendolo ma lasciando intatta la sostanza la quale proclama a tutta la Nazione che siamo un popolo insignificante e leccaculo.

 

 

Il grande inganno dell’Unità d’Italiaultima modifica: 2010-10-08T10:00:30+02:00da zicu1
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